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La terapia sistemica in origine ha avuto il suo principale campo di applicazione nella terapia con le famiglie, ma nel tempo i clinici l’hanno applicata e ne hanno approfondito la ricchezza nella terapia di coppia, in quella individuale e, più di recente, nel lavoro coi gruppi.
Nasce nell’ambito della Teoria dei Sistemi, che ha una storia che abbraccia una gamma di fenomeni assai più grande.
Negli Stati Uniti i fermenti del secondo dopoguerra generarono anche una grande eccitazione in campo scientifico: fra il 1946 e il 1953 si tenne a New York una serie di convegni interdisciplinari (le “Macy Conferences”) in cui psichiatri, biologi, matematici, sociologi, fisici, linguisti, cercarono di definire i contorni di una disciplina dei sistemi umani che descrivesse la vita e le sue manifestazione in termini di sistemi interconnessi: un sistema è un insieme di elementi che si definisce non dalla somma delle parti che lo compongono, ma dalla fitta rete di relazioni e di influenze reciproche che esse producono.
Di lì partì un grande impulso per diverse discipline scientifiche: in campo clinico ad esempio pensare ai gruppi di organismi viventi (come una famiglia) come sistemi di relazioni dette origine agli studi sulla comunicazione del gruppo di Palo Alto e a varie esperienze da cui nacque la terapia della famiglia. La grande idea innovativa fu quella di cominciare a leggere il sintomo di un paziente come l’espressione di qualcosa che succedeva in un sistema più ampio.
In Italia clinici sensibili e curiosi realizzarono immediatamente che grande portata la cibernetica (dal greco: l’arte del nocchiero, del timoniere; questo era il nome che aveva la nuova scienza dei sistemi) potesse avere nel campo della cura. Nacquero due importanti filoni di Terapia della Famiglia: a Milano (col gruppo costituito da Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata, influenzati inizialmente da Paul Waltzlawick e dagli studi di Palo Alto) e a Roma (il caposcuola, Maurizio Andolfi, era un allievo di Nathan Ackerman a New York).
All’inizio degli anni ’80 il gruppo milanese si scisse per seguire due ispirazioni differenti. Mara Selvini e Giuliana Prata perseguirono il progetto di una costante ricerca in cerca delle determinanti relazionali della sofferenza mentale; Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin si dedicarono allo studio del cambiamento e della relazione terapeutica seguendo le trasformazioni della cibernetica. Negli sviluppi di quella disciplina dei sistemi, infatti, si faceva avanti una consapevolezza: se in un primo momento l’osservatore aveva trovato vantaggio nell’allargare lo sguardo oltre il paziente (per vedere il sistema), quello stesso osservatore allargando ancora lo sguardo non poteva che comprendere nel campo anche sé stesso nell’atto di osservare. Dunque si faceva strada l’idea che l’osservatore sta dentro l’oggetto che osserva: perciò lo influenza, non è oggettivo, non è esterno al sistema al quale si interessa. E d’altra parte, il timoniere di cui sopra non è dentro la nave di cui governa la rotta, e scosso dalle stesse onde?
Questa considerazione, insieme all’opera di Gregory Bateson, dagli anni ’80 dà vita al quanto mai vitale filone di sviluppo della Scuola di via Leopardi a Milano: filone che prosegue anche dopo la morte dei due Maestri in una direzione costruttivista e narrativista. E che apre ampissime e imprevedibili strade alla terapia, giacché se osservare vuol dire costruire quello che si osserva, la terapia cessa di essere soltanto il luogo in cui si identificano “cause” nel passato e diventa soprattutto quello in cui si generano creativamente possibilità per il presente e il futuro. E questo vale nel lavoro con le famiglie, con le coppie, con gli individui, con i gruppi.
[Nella foto in alto sono con Luigi Boscolo in una immagine degli anni in cui ho frequentato i Maestri di via Leopardi]