Il mio post recente ha attivato una piacevole conversazione col collega Wolfgang Ullrich (che vi era citato!) e con immenso piacere pubblico uno scritto che mi ha fatto avere a commento. In quello che scrive trovo confortanti risonanze, pur nelle differenze di percorso — e non potrebbe essere diversamente, giacché la risposta alla domanda “come connetto le mie parti nella pratica terapeutica?” non può che essere personale e dunque diversa per ciascuno. Sento un’affinità nella rilevanza che dà a quella domanda, nel modo in cui cerca ad essa una risposta, nell’idea di terapeuta molteplice eppure uno, nell’idea che quella molteplicità finisce per confluire (non strumentalmente, non tecnicisticamente, non come “integrazione”) nell’identità professionale. In quell’idea, ancora, di formazione non come percorso per insegnare “come si fa” ma come processo per trovare il proprio “come si sta”.
Wolfgang Ullrich è psicoterapeuta e consulente aziendale, si è formato in terapia familiare sistemica e nella psicoterapia della Gestalt. Il suo contributo alla formazione sistemica sta nel lavoro con l’esperienza corporea e nell’introduzione della tecnica delle sculture familiari, a cui molti allievi si appassionano e che, in virtù di quella passione e di un desiderio di presentificare il corpo nella psicoterapia, portano nei propri contesti di lavoro. (mg)
Chi è il terapeuta sistemico e come deve essere formato?
Quando mi sono posto questa domanda, mi sono venute in mente altre domande al riguardo: quale è il senso del nostro lavoro come psicoterapeuti? Che cosa sto facendo quando lavoro con i pazienti? Come si intreccia la mia identità professionale con la mia identità personale?
Io vivo la mia vita e nella mia vita capitano tante cose delle quali faccio esperienza, sulle quali rifletto; imparo sempre dalle pratiche della vita, sia professionalmente che personalmente, ovvero il mio sapere implicito e esplicito non è diviso in riparti, ma è interconnesso, rappresenta una grande biblioteca, di cui posso consultare il libro che mi serve. A me piace il teatro in cui gli attori si esprimono, si relazionano e vivono la loro conflittualità attraverso azioni fisiche dirette. Nel teatro avviene tutto così diversamente dalla terapia, non riesco a riflettere o a sostare li, lo vivo e basta; in terapia invece, dove io sono nella posizione di plasmare lo spazio-tempo, in cui posso rallentare tutto, posso riflettere e al contempo comunicare con il paziente.
Il teatro ha molto in comune con la psicoterapia: entrambi sfruttano il medium del “gioco”, che chiamo la rappresentazione giocosa. L’impiego del metodo della rappresentazione giocosa permette di creare esperienze forti poiché favorisce quel processo di apprendimento in cui la persona può sperimentare liberamente le relazione con se stessa e con gli altri. La psicoterapia ha bisogno di una strutturazione, di una architettura che tratteggia una forma in cui le persone possono muoversi; la forma è importante per pianificare un itinerario ma non ha una importanza intrinseca; per questo è necessario riempirla con il nostro lavoro con le persone, con i loro processi. Che aspetto può avere la strutturazione di questo spazio-tempo che chiamiamo psicoterapia? Quali sono le idee centrali che servono a progettare una terapia moderna e per creare questo spazio di apprendimento?
Bob Wilson, grande innovatore e regista del teatro moderno, ci invita ad esplorare le nostre idee fondamentali, sia professionalmente che personalmente, utilizzando un esercizio di immaginazione: prendersi tre minuti per disegnare il “tutto” della nostra idea in un’immagine.
In tre minuti mi è venuta un’immagine composta di due figure, riguardante l’idea della terapia moderna. La prima figura si trasforma nella seconda. Innanzitutto vedo uno spazio bidimensionale nel quale sono rappresentati due essere umani che camminano su una fune per mettere in scena la poesia della loro vita; con un bastone si aiutano a mantenere l’equilibrio; hanno a disposizione quattro reti di sicurezze o quattro impalcature (concetto che approfondisco nel mio libro La leggerezza creativa) che garantiscono la possibilità di un luogo sicuro. Uno di questi due uomini, il terapeuta, a un certo punto, estende il suo punto di vista verso un orizzonte, verso l’infinito (il famoso punto di fuga utilizzato per creare la prospettiva tridimensionale ma anche per creare il pezzo musicale della fuga barocca).
Accade dunque che la prima immagine, che aveva una impostazione bidimensionale, tipica dell’arte medievale, si tramuta in un dipinto rinascimentale tridimensionale: viene cosi introdotta la prospettiva e una ottica ulteriormente multidimensionale. L’immagine che ne risulta è la rappresentazione di una delle città invisibile di Italo Calvino, Ottavia, una città leggera come un aquilone, città traforate come pizzi, città trasparenti come zanzariere, in cui le persone camminano tutte su delle funi mentre mettono in scena la poesia della loro vita, in coesione fra di loro. Tutto diviene dunque parte di un “corpo poetico comune”. E Calvino conclude nel suo racconto che, sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti di Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete delle funi non regge, ovvero non conviene alle persone di essere troppo pesanti.
Questo è come mi immagino la terapia moderna che propone una struttura in cui le persone/pazienti possono mettere in gioco la loro vita — per esplorarla e espanderla — con fierezza.
La città dal nome Ottavia potrebbe essere localizzata nel Rinascimento. Prendendo questa immagine anche il terapeuta sistemico può essere paragonato a un artista del “nuovo rinascimento” che lavora nella sua bottega e svolge un’attività artigianale di comunicazione. In questa attività nella quale cerca attraverso un rapporto umano l’altra persona con l’obiettivo di “estrarne” le forze, le risorse e le esperienze che si trovano nel suo profondo nascosto, nell’ombra della sua esistenza umana; vuole scoprire le epifanie della persona ed esplorarne i sogni, progetti impacchettate dentro la sua esperienza. In quanto artista è pieno d’entusiasmo, di curiosità, e cerca il confronto e la condivisione con altri colleghi. Cerca di collaborare e condividere con altri colleghi il sapere acquisito e le tecniche sviluppate, con l’obbiettivo di personalizzarle, nonché da lì svilupparne delle nuove. Per l’”artista del Rinascimento” l’espressione del sé diventa arte con l’obiettivo di poterla condividere con gli altri.
Cristina Koch, nota psicologa milanese, spiega quale sia la caratteristica chiave del Rinascimento nel suo libro Counseling: “Il mondo del Rinascimento, come ci insegna Leonardo, è modellato sulla persona umana, sulle sue misure e, dunque, su come si prendono le misure del mondo.” Le misure della persona sono un’espressione della sua unicità, la quale si trova nel centro dell’attenzione dell’“artista” sistemico. Conoscerla crea un senso profondo riguardo la sua vita, arricchendo la sua conoscenza e contagiandolo nel suo profondo. L’identità della persona e la sua individualizzazione affascinano il nostro “artista”; lui sa che le misure dell’essere umano si possono comprendere solo intendendo il processo della nascita dell’unicità e della sua evoluzione nelle relazioni umane. “La mente individuale può esistere solo in relazione ad altri menti attraverso significati condivisi” (George H. Mead, 1934).
Le complessità dei contesti sociali e delle relazioni sono il suo pane quotidiano. Per sviluppare lo spazio individuale dentro di sé, che permette di esprimere con spontaneità e creatività la propria unicità e darle una forma, la persona deve prendere le distanze di fronte alle convenzioni, ai ruoli sociali e agli attributi sociali del proprio carattere. Questo processo non si svolge attraverso un monologo con sé stesso, piuttosto mediante un dialogo nell’ambito di una comunità di appartenenza, “the large self-appeal to the large community” (G.H. Mead,1934). “The large community” rappresenta una comunità che sostiene l’autonomia e la responsabilità della persona nella sua ricerca della propria unicità. “L’espressione del sé come arte” necessita una comunità per svilupparsi e deve essere condivisa in un contesto di scambio.
Il nostro artista possiede nel suo cassetto, come ogni buon artigiano, attrezzi quali tecniche e teorie tra cui scegliere la più adatta per mettersi in contatto con l’altra persona. Il lavoro dell’artista sistemico si basa in primo luogo su certi presupposti e in secondo su determinate skills.
Presupposti
- La persona è unica e sviluppa la sua unicità in un processo di individualizzazione. Lo sviluppo dell’identità è radicato e nutrito dalle comunità di appartenenza della persona e dipende dalle sue relazioni. Più una comunità mette in pratica la comunicazione congruente, ovvero esprimere liberamente emozioni, pensieri e idee e in contemporanea ascoltare gli altri, più l’autostima dei partecipanti è alta e più l’individualizzazione è possibile. L’evoluzione della persona è sempre in co-evoluzione con lo sviluppo degli altri.
- L’essere umano è l’unione fra la parte fisica, mentale e spirituale, esse appartengono ad un unico tessuto che non contiene un prima e un dopo, un fuori e un dentro. È possibile immaginarsi la persona come un’associazione nella quale i componenti possono più o meno esprimersi o prendere parola. La comunicazione interna fra i membri può assumere tratti di conflittualità che rendono difficile la vita della persona. Alla base della conflittualità cronica interna possiamo trovare regole rigide acquisite in un passato più o meno lontano.
- Lo sviluppo dell’identità può fallire e sfociare in forme di alienazione e di distorsione (sintomi). Queste alienazioni sono espressioni di una comunicazione conflittuale non risolta; una relazione problematica verso l’esterno può essere di impedimento anche alla comunicazione interna degli individui coinvolti, ovvero il dialogo fra sé e sé, e può infine assumere anche forme patologiche.
- La terapia è una danza tra numeri uno: la forza, l’energia, la vivacità, la grandezza ed il valore delle persone sono al centro dell’interesse del terapeuta. Cercare i punti di forza dona autorevolezza alla persona e le fa acquisire una posizione eretta, sostenuta da un’autostima alta. Cercare il potere personale delle persone mediante il “poter fare”, conferisce passione alle loro azioni.
- La terapia è un atto creativo. Il terapista cerca di conoscere la persona ponendole delle domande. Egli deve scoprire aspetti sconosciuti percorrendo vie nuove e mai battute prima. L’obiettivo del lavoro non è quello di aumentare le alternative di scelta della persona, ma piuttosto quello di inventare qualcosa di nuovo, di dare spazio alla creatività e alla spontaneità.
In che modo è possibile insegnare e trasmettere questi presupposti in un contesto formativo per i terapeuti?
Il formatore deve creare delle esperienze nella comunità di allievi che permettono loro di esplorare il loro corpo poetico comune, facendo diventare la loro espressione di sé un’arte da condividere. Illustrerò in seguito alcuni esempi di formazioni dove sperimento questo aspetto in prima persona. Prendendo spunto dalle maschere della commedia dell’arte propongo di esplorare la vita di comunità indossando delle maschere che io chiamo maschere delle “idee perfette”. Fra queste vi è per esempio la maschera: “io posso controllare tutto” oppure la maschera ” lo so già cosa è giusto per il paziente”. Il compito per il gruppo consiste nell’ osservare come si muove il corpo di un partecipante che indossa questa maschera e che relazioni si creano fra lui e il paziente.
Indossando la maschera “neutra” è possibile sperimentare come si muove il corpo nello spazio e come crea delle relazioni senza l’aiuto delle espressioni facciali. e quindi conoscere l’espressività dei nostri movimenti corporei.
È fondamentale durante la formazione aiutare gli allievi a scoprire i propri talenti. Per fare questo va posta una domanda: Che cosa ti veniva facile quando eri bambino e che cosa ti viene facile oggi? Ciò che ci riesce facile e con spontaneità spesso esprime nostri talenti ed è importante adoperarlo in terapia.
Nella seconda parte della formazione invito spesso i partecipanti a scegliere chi vogliono essere e diventare come psicoterapeuti. L’esperienza di poter scegliere chi voglio essere e chi voglio diventare rappresenta uno degli apprendimenti più significativi per un futuro psicoterapeuta. In questa scelta entra in gioco tutta la gamma delle regole professionali, il metodo che si preferisce applicare fino agli aspetti della propria personalità e dei talenti che uno possiede.
Skills
- La prima capacità fondamentale è quella di sapersi relazionare con il paziente avendo come obbiettivo quello di costruire una relazione di fiducia usando correttamente tutti i canali della comunicazione; corporei, verbali e simbolici.
- Il saper identificare le forze e le risorse della persona per accedere e scoprire i diversi strati d’esperienza che si trovano nell’ombra della sua esistenza, nonché il rilevare le eccezioni alle abitudini nella esperienza del soggetto — mediante l’individuazione delle epifanie dell’individuo, che si nascondono nei campi delle forze che sono in conflitto fra di loro — sono capacità fondamentali per qualsiasi terapeuta.
- La persona è fatta di tante parti (voci, personaggi). Saper identificare le parti di una persona che sono in conflitto tra di loro ed essere in grado di impostare un dialogo tra loro in un modo che possa portare a nuove soluzioni nella comunicazione interna: questo deve avvenire prendendo in considerazione il contesto sociale, le relazioni importanti della persona e il gioco intenso fra comunicazione esterna ed interna delle persone.
- Essere in grado di lavorare con i processi e non con i contenuti.
- Avere la capacità di verificare l’ecologia del cambiamento; la trasformazione di una persona è sempre un processo di co-evoluzione, nel senso che altre persone sono coinvolte.
- Saper creare “pratiche di comunità” per creare speranze concrete nella realtà delle persone, come ad esempio il metodo della testimonianza di M. White o il lavoro triadico di V. Satir.
- La capacità di lavorare su diversi livelli dell’esperienza umana:
- Il livello corporeo; sensazioni, movimento e orientamento nello spazio. Attraverso il metodo della awareness, l’identificazione, la drammatizzazione e il dialogo.
- Il livello dell’enactment, cioè azioni concrete, movimenti significativi.
- Il livello del linguaggio e della comunicazione verbale, ovvero la comunicazione congruente ed incongruente nelle azioni comunicative orientate alla comprensione.
- Il livello narrativo.
- La capacità di apprendimento personale; farsi artista in prima persona, saper modellare a piacere la propria esistenza, giocare con i pensieri, vestiti e altri espressioni personali. Far diventare unico e speciale la propria persona per sviluppare la propria “self-superiority” (G. H. Mead) e aumentare la propria congruenza nella comunicazione, esprimendo quello che la persona sente, pensa e vede nello scambio con gli altri e prendendosene la responsabilità (persona etica).
Bibliografia
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Frederick S. Perls, La terapia gestaltica, 1969, Roma, Casa Editrice Astrolabio.
Virginia Satir, In famiglia… come va?, 2015, Acqui Terme, Impressioni Grafiche.
Daniel N. Stern, Il mondo interpersonale del bambino, 1992, Torino, Bollati Boringhieri.
Michael Tomasello, Le origini della comunicazione umana, 2008, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Michael White, La terapia come narrazione, 1992, Roma, Casa Editrice Astrolabio.
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche (1953), 2009, Torino, Einaudi
Wolfgang H.Ullrich, Maria Bosch, Die entwicklungs-orientierte Familientherapie nach Virginia Satir
Wolfgang H.Ullrich, Posso essere felice, 2019, Milano, Guerini
Wolfgang H.Ullrich, La leggerezza creativa, 2023, Milano, Guerini




