Comunicazione & Media - Psicologia & psicoterapia

Psicoterapia e pubblicità comparativa
Se Uno fa il bravo, stiamo tutti più serenis

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Articolo pubblicato sulla mia newsletter e, questa volta, in contemporanea qui sul blog.

Scopro grazie alla segnalazione del collega Alessandro Lombardo che le due più celebri piattaforme di psicoterapia online usano pubblicare sui loro canali web comunicazioni che assomigliano molto da vicino a delle pubblicità comparative, che confrontano le loro prestazioni con quelle della psicologia “tradizionale”.

Alessandro pubblica due tabelle prodotte dai due soggetti in questione, in cui su un elenco di voci si comparano i propri servizi con quelli dei professionisti “in studio” (in una delle due tabelle si dice “dal vivo”, ma sempre quello è).
Cioè, si confronta un soggetto (la ditta che pubblica la tabella) con una classe di soggetti: l’azienda Tal dei Tali con un insieme vago di professionisti. È un trucco, naturalmente.
Se io confrontassi un calciatore con una squadra, potrei arrivare a dire che il primo segna parecchie reti e la seconda no: d’altra parte nella squadra ci saranno attaccanti ma anche difensori e un portiere, che hanno funzioni differenti, e in media conterò meno reti a testa. Ma il trucco delle aziende di cui sopra è anche un po’ più rozzo: confrontano un soggetto (un’azienda che vende servizi psicologici online) con una classe di soggetti che fanno una cosa diversa: servizi psicologici in studio.
Allo stesso modo, se facessi una tabella per confrontare, non so, il Colosseo con i monumenti lombardi, di questi potrei dire che non hanno posti a sedere (e grazie, mica tutti sono anfiteatri; alcuni magari sì, ma l’insiemistica di questi signori non distingue “nessuno” da “non tutti”: a pensarci, non è anche una di quelle piccole confusioni che a volte gli psicologi fanno notare ai loro pazienti?) ma soprattutto che, al contrario del Colosseo, sono tutti lontani dall’aeroporto di Fiumicino.

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Mettiamo che uno stimato collega, chiamiamolo Sigismondo Froido, decida di farsi pubblicità comparando i propri servizi a quelli delle piattaforme online (tutte insieme), e per screditarle affermi che quelle si fanno sponsorizzare da un sapone intimo. Sarebbe corretto? Per niente, perché la famosa campagna (poi ritirata) per cui comprando dieci euro di detergenti ricevevi un buono per non so quante sedute, è una vicenda sì, piuttosto disdicevole, ma che ha riguardato una sola delle aziende in questione, e non l’altra. Il dottor Froido sarebbe considerato sommamente scorretto e guardato con disistima dai colleghi.
Ma loro non si fanno problemi, per esempio, a dire cose tipo che gli “psicologi in studio” hanno “tempi di attesa lunghi” e i loro servizio online no. E chi l’ha detto che hanno (tutti) tempi di attesa lunghi? E che vuol dire, poi, “lunghi”? Ma ancora, dove sta scritto che un “tempo di attesa breve” sia sempre e necessariamente un valore? Quanti colleghi hanno presente quel momento in cui, al telefono, potrebbero dare un appuntamento per il giorno dopo ma preferiscono darlo un po’ più in là, per esempio, per verificare la motivazione del paziente? E quanti hanno fatto l’esperienza che fra i pazienti che chiedono un appuntamento “prima possibile” quelli che non si faranno mai vedere sono più frequenti di quelli che non chiedono tempi da urgenza?

Prevengo la prima obiezione: “certo, ciascuna di queste aziende è un soggettosolo, ma guarda che ognuna arruola parecchie migliaia di psicologi diversi”. Ecco, punto interessante. Sì, ciascuna di queste aziende in realtà arruola migliaia di psicologi che istruisce, al di là della loro formazione, ad un modello uniformato per quanto riguarda timing della terapia, frequenza e numero delle sedute, eccetera (lo chiamo “modello clinico-commerciale”, perché i criteri su cui è costruito sono sempre un po’ a cavallo fra esigenze di cura e di marketing, talvolta con una leggera inclinazione verso le seconde). Ciò permette loro di confrontare un servizio (in qualche misura ampiamente uniformato) con una molteplicità di servizi differenti (gli psicologi “in studio”, o “dal vivo”, che non fanno tutti la stessa cosa e non hanno tutti le stesse regole).

Seconda obiezione che prevedo: “Sì, hai ragione, ma guarda che una delle due aziende dopo la segnalazione di Alessandro Lombardo ha corretto la sua tabella”. Già. L’azienda in questione ha commentato il post del collega su Linkedin ammettendo che la tabella conteneva “alcuni errori”. Una giustificazione che non risponde all’obiezione (che non era che la tabella contenesse “errori”, ma che fosse “eticamente scorretta“). Una risposta che non costa niente, tanto quella tabella ormai si è stampata nella mente di tutti quelli che l’hanno vista (come per la campagna del sapone intimo: la ritiri ma intanto la pubblicità ha fatto il suo sporco lavoro). E, comme d’habitude, chi ha scritto quella giustificazione non si scusa e anzi dà la colpa a un soggetto fantomatico (chi si occupa delle “procedure di controllo“). Evidentemente la persona responsabile di quelle procedure quel giorno era distratta. Ma soprattutto, il giorno che a scuola hanno spiegato i tipi logici aveva l’influenza, perché chi comunica dovrebbe sapere che confondere livelli logici diversi è un modo poco limpido di comunicare (e chi fa lo psicologo sa che a volte è un modo patologico).
Modo che però, in questo caso, legittima una serie di fallacie e nonsense che, messi lì in una tabella, senza argomentare e senza lo spazio per un pensiero, sembrano lì per lì avere l’aria di argomenti.

Per esempio: “molta burocrazia”, naturalmente nel caso dello psicologo in studio. E cioè? Di che burocrazia parliamo? Fa le fatture? Il consenso informato? Boh.
Oppure: “Psicologo abbinato alle tue esigenze”: l’azienda te lo darebbe, lo studio ovviamente no. E che significa? Io lo so: significa qualunque cosa, cioè niente. Ma buttata lì, la frase colpisce. Può significare (uso la fantasia, eh) che l’algoritmo di quell’azienda abbina un terapeuta specialista in, non so, sintomi psicosomatici a un paziente che cerca aiuto per una dermatite. Ma, se questo è il significato, come si giustifica un ingresso così brutale dell’algoritmo, o di chiunque altro, in scelte che attengono alle premesse teoriche e alla coscienza del professionista? Questa storia che un terapeuta te lo scegli in base al sintomo può avere senso da alcuni punti di vista, ma da molti altri è totalmente insensata: non entro ora nel merito, ma qualcosa l’avevo detta qui, dove spiegavo perché la ritengo un retaggio di un pensiero medico poco coerente con premesse cliniche psicologiche. Ma il modello clinico-commerciale funziona così, uniforma tutto e ragiona in termini di prodotti utili a degli scopi.
Ed è tutto legittimo, eh. Non posso criticare un’azienda commerciale perché ragiona pensando in termini commerciali. Quello che lo è meno è prendere dei criteri relativi, farli passare per assoluti e su quelli fare confronti che squalificano altri professionisti.
Altri criteri di confronto sono del tipo “orari flessibili, che seguono i tuoi ritmi”, o “assistenza 7 su 7”, o “chat privata sempre a disposizione”“. E chi l’ha detto che questo genere di flessibilità è un valore in termini assoluti? Chi l’ha detto che esserci sette giorni su sette sia terapeutico? In quale cornice di pensiero? In base a quale considerazione clinica? O che una estrema flessibilità di orario, invece di una mediazione che richieda anche al paziente di metterci del suo, faccia per forza bene? O che il primo colloquio gratuito sia in assoluto una buona idea?

La prima seduta è, da un certo punto di vista, la più importante di tutte. È quella in cui si pongono le basi per la futura relazione, è quella che ci tornerà in mente tante volte nel seguito perché da quella discendono tante cose che succederanno poi. È importante che sia condiviso col paziente, con la coppia o con la famiglia, che quel tempo è maledettamente importante e che richiede di esserci sul serio. L’idea che possa essere gratuita costruisce una cornice assai dannosa, in cui la prima seduta si avvicina a una chiacchierata informale: ci si scambia qualche informazione e magari alla fine ci si stringe la mano dicendo “beh, è stato un piacere, speriamo di rivederci uno di questi giorni”.

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Terza obiezione che mi attendo: “ma non sai che questa faccenda del primo colloquio gratuito l’hanno sdoganata certi ordini degli psicologi, istituendo settimane promozionali che contemplavano anche prestazioni gratuite?”. E come se lo so, è una pratica che contesto da allora. Delle scelte sulle transazioni economiche fra paziente e terapeuta è responsabile quest’ultimo con la sua coscienza. Sono scelte cliniche motivate e consapevoli, non escamotagecommerciali per promuovere negli studi un viavai di persone che non torneranno la volta successiva. (Ma poi, siete sicuri che questa storia delle offerte speciali non promuova soltanto l’immagine di una categoria professionale disperata e alla canna del gas?).

Io lavoro da libero professionista, il mio lavoro si divide fra lo studio e il setting online. Sono due attività simili, ma anche piuttosto diverse. Cominciai una quindicina di anni fa a fare sedute su Skype e nel tempo ho capito che richiedono un rapporto di familiarità col digitale, una pratica di anni per cominciare a leggere aspetti del contesto che nei nostri studi “fisici” ci sembrano ovvi, scontati. Non sono due modalità necessariamente intercambiabili. Qualche volta ci sono buone ragioni per non fare la terapia in remoto, altre volte ci sono buone ragioni per non fare la terapia in studio. Non sono due marche di biscotti, sono due pratiche cliniche che rispondono a delle esigenze che vanno considerate.

Ma ora vorrei dire una cosa molto chiaramente. Conosco tanti colleghi giovani che hanno trovato in queste aziende la possibilità di avviare la professione. Sono terapeute e terapeuti responsabili e capaci, che stanno in un modo critico e consapevole in un sistema che impone i vincoli della pratica clinico-commerciale; li conoscono bene, non li assecondano passivamente ma con essi cercano ogni giorno una convivenza che preservi la loro responsabilità e la loro etica. Io credo che queste colleghe e questi colleghi meritino un’immagine pubblica un po’ meno sguaiata.
Perché poi quando si parla di queste piattraforme che stanno cambiando tante cose nel mercato della professione, uno degli argomenti che si sentono in giro è che favorirebbero la diffusione della cultura psicologica. Ah, ecco.
Solo, la difesa della cultura psicologica parte dalla cura delle parole e della possibilità che queste continuino ad avere un senso. Le parole sono gli oggetti con cui lavoriamo, sono i nostri attrezzi. Non vedo che difesa della cultura psicologica sia possibile nell’uso perverso e manipolatorio delle parole. In un momento come questo, poi, dove le parole significano di volta in volta quello che fa comodo a qualche potere di turno.
Io credo che se gli psicologi hanno una competenza sulle parole e su quanto queste siano potenti, hanno il dovere di usare quella competenza per proteggere le persone da certi trucchi, non per usarli.

Ma in tutta questa storia della pubblicità comparativa dei servizi psicologici c’è un problema, grosso grosso, e sta nel manico. Una società che vende il tempo di un certo numero di psicologi non è uno psicologo (quando è il caso, la differenza fra classe ed elemento la capiscono e ci si riparano dietro). Pertanto non sottostà a certe regole di comunicazione a cui deve attenersi ogni singolo collaboratore iscritto all’Ordine. Se un professionista pubblicasse una pubblicità comparativa che mettesse in cattiva luce dei colleghi, un Ordine di riferimento gli contesterebbe la violazione dell’art. 36 del Codice deontologico.

Credo che ora come ora ci sia un grande bisogno di questo lavoro e credo che questo sia il momento della responsabilità. Credo che ciascun professionista dovrebbe farsi carico di questa responsabilità. Credo che se il singolo è consapevole di questo, il contributo che può dare a questa professione e alla società è ancora più decisivo. Credo che, per dirla in breve, se Uno fa il bravo stiamo tutti più serenis.

Sono Massimo Giuliani, psicoterapeuta a L'Aquila e a Brescia e quello che hai appena letto era uno degli articoli del mio blog. Grazie per l'attenzione. Per ricevere in anteprima i miei articoli clicca qui e abbonati alla newsletter.