Giuseppe Cersosimo è psicologo e psicoterapeuta. È docente del Centro Milanese di Terapia della Famiglia e, dopo una esperienza cospicua nel campo della psichiatria, ha avviato nel 2013 un servizio di Urgenza Psicologica, che da Milano si è poi allargato ad altre città della Lombardia.
Dell’esperienza si parla, peraltro, anche nel libro “Complessità e Psicoterapia” (curato da Pietro Barbetta e Umberta Telfner).
In questa conversazione Giuseppe Cersosimo ci racconta la storia e il presente di questa esperienza, nata col contributo fondamentale e il supporto costante di Croce Rossa e dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

Massimo Giuliani: Giuseppe, nel 2020 Urgenza Psicologica compie sette anni. Come è nato, e cos’è precisamente?

Giuseppe Cersosimo

Giuseppe Cersosimo: Il Servizio di Urgenza Psicologica è nato a Milano nell’aprile del 2013 grazie alla volontà della Presidenza Regionale della Lombardia di Croce Rossa Italiana, dalla fondamentale collaborazione dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia e da un piccolo contributo iniziale della Fondazione Cariplo.
Nella mia esperienza nel campo psichiatrico da tempo percepivo la consistenza dei punti deboli delle strutture residenziali, come delle comunità terapeutiche che gestivo: la sera e durante i fine settimana, non essendo disponibile personale specialistico, ma solo di assistenza, le crisi degli ospiti sfociavano troppo spesso in situazioni drammatiche e quindi in ricoveri più o meno volontari; che sono un’esperienze sempre traumatica per i pazienti, sono vere e proprie interruzioni nei percorsi riabilitativi.
Su queste considerazioni abbiamo pensato di creare un servizio ad hoc, sfruttando la tradizione e la capacità dell’organizzazione di Croce Rossa nel pronto intervento, ma offrendo questa possibilità a tutta la cittadinanza.
Il Servizio è attivo, quindi, il sabato e la domenica dalle 9:00 alle 21:00.

MG: Siete partiti da Milano ma ora siete anche in altre città, giusto?

GC: Sì. Dopo Milano, dal 2017 siamo anche a Monza e Varese, e dal 2019 a Bergamo. Siamo in procinto di aprire anche a Crema e Lecco.

MG: Come funziona l’accesso?

GC: Uno psicologo in turno riceve la telefonata dell’utente, che non ha bisogno di intermediari per chiamarci: né medico di Medicina Generale né altro specialista. Lo psicologo valuta la domanda o il bisogno e decide il da farsi: la maggior parte di telefonate si risolve al telefono ma, nel caso lo ritenesse necessario, può concordare un colloquio immediato e gratuito in sede o a domicilio.
I volontari di Croce Rossa Italiana forniscono gli equipaggi e gli automezzi per accompagnare lo psicologo. La visita è unica e, nel caso l’utente ne faccia richiesta, viene aiutato ad orientarsi nei servizi territoriali e specialistici ai quali rivolgersi. Tra questi includiamo il Centro Clinico per la Cura e la Ricerca Psicologica, un servizio complementare che abbiamo attivato a Milano. Invitiamo la persona a richiamare durante la settimana per concordare i colloqui di valutazione che possono essere avviati entro 48 ore. Naturalmente questo lascia alle persone una possibilità di scelta, non intendiamo forzare il ricorso a servizi interni.

MG: Funzionate al fine settimana, dicevi…

GC: Sì, è una scelta pensata per non sovrapporci ad alcun altro servizio, oltre alla Guardia Medica e al Pronto Soccorso degli ospedali. Settimanalmente l’equipe dell’Urgenza Psicologica si riunisce per trattare dei casi affrontati durante il fine settimana, anche dal punto di vista dei vissuti degli operatori.

MG: Quanti sono, e chi sono, gli operatori?

GC: A Milano, dove c’è l’equipe più numerosa (circa una ventina di colleghi e una dozzina di tirocinanti), gli operatori in turno sono sempre almeno due in modo da non lasciare mai il servizio scoperto, anche in caso di intervento a domicilio.
Il coordinatore ed il supervisore dell’equipe sono disponibili durante il servizio per essere consultati all’occorrenza. Nel tempo l’Urgenza Psicologica sta subendo alcune trasformazioni, anche in base alle richieste ricevute, che la stanno trasformando in un servizio più aperto a tutti (anche ai minori ed alle loro specifiche problematiche), più “accogliente” e meno centrato sulla crisi, più disponibile in altre fasce orarie grazie al ricorso alle moderne tecnologie (Skype e Whatsapp soprattutto).

MG: Il vostro sito parla di professionisti volontari…

GC: L’espressione fa riferimento alla tradizione di Croce Rossa: è un servizio volontario ma composto da professionisti del campo, mentre le grandi e piccole associazioni di volontariato forniscono vari servizi con persone di provenienza e formazione estremamente eterogenee. Il Centro Clinico di cui ti parlavo che si occupa della presa in carico successiva degli utenti dell’Urgenza Psicologica (come di chiunque ne faccia richiesta per trattamenti a lunga durata), rappresenta un’ottima occasione di lavoro per giovani ed esperti psicologi.
La procedura di presa in carico prevede tre incontri gratuiti di valutazione della situazione; dopo il secondo colloquio il collega porta il caso in équipe e insieme definiamo la proposta d’intervento ed il percorso ritenuto più opportuno. Lì decidiamo anche chi, per esperienza e formazione, possa portare avanti il trattamento. Potrebbe non essere lo stesso collega che ha fatto la valutazione.

MG: Dunque questo avviene prima del termine dei tre colloqui…

GC: Sì. Infatti nel terzo si illustra all’utente l’ipotesi terapeutica per concordare come proseguire, si valuta lo stato socio-economico per raggiungere un accordo anche sull’entità del pagamento degli incontri. Abbiamo una tabella di costi gradualmente crescenti in base all’ISEE che parte dalla prestazione gratuita per i redditi più bassi. Gli psicologi sono sempre pagati con la stesso onorario…

MG: Anche per gli interventi gratuiti?

GC: Certo. Gli utenti che versano di più bilanciano le prestazioni gratuite. Attualmente almeno un cliente su tre usufruisce della prestazione gratuita, anche da diversi anni.

MG: Che percorsi hanno i colleghi che compongono l’équipe?

GC: Ecco, questo è importante. L’équipe rappresenta un’esperienza formativa davvero unica: operando con colleghi di età, esperienza e specializzazioni diverse, davvero si impara a lavorare in gruppo, a parlare lo stesso linguaggio e, soprattutto, a sperimentare come funziona una “mente” terapeutica pensante.
Durante la discussione dei casi abbiamo imparato a non assalire i colleghi con frasi come: “perché non hai fatto così o cosà?”, oppure “perché non hai fatto la tal domanda?”, che fa riferimento al bagaglio tecnico che ciascuno impara durante i percorsi accademici e nelle varie scuole di specializzazione. Preferiamo esplicitare l’ipotesi che sta alla base di quelle domande, condividendola e discutendola con i colleghi.

MG: Avete momenti di formazione?

GC: L’aggiornamento è continuo. Sin dall’inizio abbiamo pensato di offrire gratuitamente all’equipe giornate formative collaborando con enti e servizi diversi italiani: prima con il Dipartimento di Psicologia dell’Università del Sacro Cuore di Roma che, per quanto mi risulta, resta l’unica istituzione che ha un percorso universitario in “Urgenza in psichiatria e psicologia clinica” (master di I livello) e di consulenza psicologica presso il Pronto Soccorso del Policlinico Gemelli. Poi con la ASL di Napoli che da tempo realizza un servizio di pronto soccorso psichiatrico istituzionale anche nei quartieri più difficili come quello di Scampia.

MG: Esistono dati e osservazioni che ci permettono di attribuire al vostro servizio un valore di prevenzione rispetto ad ospedalizzazioni, strutturarsi di condizioni psichiatriche eccetera?

GC: Tenendo conto che mediamente riusciamo a svolgere un centinaio di giornate di presenza all’anno (48 fine settimana circa), le chiamate sono oramai più di mille. Nel tempo organizziamo dei congressi per rendicontare i dati del Servizio: il primo si è tenuto presso la Casa dei Diritti del Comune di Milano nel gennaio 2015, l’ultimo l’ottobre scorso a Bergamo, organizzato dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia presso l’Università Statale. Lì abbiamo presentato i dati aggiornati al dicembre 2018: il 60% dei chiamanti sono donne, l’età media è sui 43 anni (con estremità di minorenni e ultraottantenni). Una percentuale significativa di chiamate arriva da fuori regione e oltre il 17% delle persone richiede l’intervento per un’altra persona (di solito un parente stretto). Il 57,76% dell’utenza ha già ricevuto una diagnosi da parte di uno specialista e quasi il 60% assume una terapia farmacologica.

MG: …e circa gli effetti dell’intervento?

GC: Più di 3 utenti su 4 percepiscono come positivo l’esito dell’intervento, che in quasi il 20% dei casi è svolto a domicilio o in sede. In più del 90% dei casi l’intervento induce una risoluzione della crisi e solo nel 4,45% dei casi l’utente ho percepito la crisi non risolta o si è ricorsi all’invio o all’accompagnamento in pronto soccorso.

MG: Aspetta: 20% a domicilio o a casa significa che l’80% delle risoluzioni avviene nella chiamata telefonica?

GC: Sì, ma è un dato che va letto in prospettiva: all’inizio eravamo concentrati sulla crisi e sull’urgenza quindi le chiamate duravano meno e chi aveva bisogno solo di parlare veniva invitato a rivolgersi ad altri telefoni di ascolto (a Milano quello gestito da Progetto Itaca). Nel tempo la nostra accoglienza e disponibilità è aumentata (riceviamo ancora molte chiamate da fuori regione) quindi proporzionalmente la percentuale di colloqui a domicilio è diminuita.

MG: In sette anni cresceva il servizio ma si modificava anche la richiesta…

GC: Non ho dati a supporto, ma la mia impressione è che sia aumentata la richiesta di trattamenti a lunga scadenza: le stesse persone che chiamano per parlare dei propri problemi (non urgenti), richiamano in settimana per avere un appuntamento e iniziare un percorso terapeutico. Infine, anche le linee di ascolto (come quella di Itaca) non sono più attive nel fine settimana.

MG: Interessante. Altri dati?

GC: L’utente medio è italiano

MG: …ecco, scusa, stranieri ne vedete?

GC: Poche richieste, la maggior parte delle quali provenienti da enti o istituzioni che si occupano della prima accoglienza oppure dai campi profughi della CRI stessa. Sin dai tempi di Expo 2015 abbiamo pensato a una internazionalizzazione del servizio, grazie anche alla presenza in équipe di colleghi di origine sudamericana o europea. Ma le richieste di e per queste persone sembrano necessitare di risorse e strumenti molto specifici. Prima o poi ci organizzeremo.

MG: Dicevi, l’utente medio è italiano…

GC: Sì. Tendenzialmente identifica un fattore “interno” quale causa scatenante la crisi e mostra discrete capacità di “coping”. Manifesta sintomatologia ansioso-depressiva, non è incline a mettere in atto agiti autolesivi o anticonservativi. Riesce a mobilitare capacità di volizione, motivazione, cooperazione e utilizza il Servizio in modo congruo e finalizzato, come d’altra parte testimonia il trascurabile tasso di invii in Pronto Soccorso.

MG: A proposito: il vostro lavoro ha qualche affinità con l’esperienza finlandese di Open Dialogue di Jakko Seikkula?

GC: Inconsapevolmente condividiamo diversi principi chiave con l’Open Dialogue finlandese, con  alcune fondamentali differenze: aiuto immediato e rete sociale. 
L’OD prevede che, in caso di crisi, il paziente riceva assistenza entro ventiquattro ore dalla prima richiesta di intervento (ma i nostri tempi sono molto più rapidi), sia che questa sia stata fatta dal paziente, da un parente, da un medico, o da una qualsiasi altra figura professionale. Uno scopo dell’aiuto immediato è quello di prevenire ospedalizzazione del paziente in più casi possibili.
Entrambe le esperienze mettono al centro un principio di flessibilità, cioè il trattamento deve essere specifico per ogni caso, cioè deve adattarsi ai bisogni del paziente e della famiglia.

MG: Questo è un punto che vi accomuna…

GC: Certo. Poi nel nostro caso questo ha comportato la messa in discussione delle caratteristiche classiche del setting terapeutico (cambia molto e diventa imprevedibile a domicilio) e del setup (quali tecniche utilizzare). Come puoi capire, lavorare in questo modo comporta una certa tolleranza all’incertezza, che è connessa all’unicità degli incontri e alla qualità del dialogo, in modo che l’utente e la famiglia non si sentano soli e abbandonati nella crisi e nei momenti di maggiore difficoltà.

MG: Altri punti?

GC: Anche nel nostro caso per prospettiva dialogica s’intende che il motore del cambiamento è il linguaggio ma soprattutto l’incontro e la relazione. Ciò significa che l’obiettivo principale anche dell’Urgenza Psicologica è promuovere il dialogo, e che la promozione del cambiamento nel paziente e nella famiglia è conseguente ad esso. Il linguaggio utilizzato dagli operatori cerca di essere il più possibile adattato a quello delle persone, osservando come l’utente ed ogni altro membro coinvolto abbia percepito e dato il nome al problema del paziente. I problemi sono infatti visti come costruzioni sociali che vengono riformulate in ogni conversazione. In questa prospettiva anche per noi è molto importante dare voce a ogni persona presente all’incontro, cioè generare un dialogo polifonico, molte volte anche grazie al Volontario accompagnatore che funge da “osservatore” coinvolto.
La grande differenza con l’Open Dialogue è che l’Urgenza Psicologica non prevede una presa in carico duratura né un percorso psichiatrico; una somiglianza è la scelta di non ricorrere alle terapie farmacologiche e l’obiettivo principale di cercare di evitare il ricorso all’ospedalizzazione.

MG: Sempre su somiglianze e differenze: in questi giorni sui giornali e nei media si parla di servizi di “pronto soccorso psicologico”, a partire da alcune esperienze in corso. Come si inquadra Urgenza Psicologica in questo dibattito?

GC: Dal 2013, quando il Servizio di Urgenza Psicologica è partito, sono state avviate diverse iniziative soprattutto nel centro-nord Italia, identificate da vari nomi come “Pronto Soccorso Psicologico”. Partirei dalle premesse: cominciamo con il distinguere l’urgenza dall’emergenza. La scelta del nome, per quanto ci riguarda, non è stata casuale. Volevamo e vorremmo distinguerci da tutte quelle situazioni emergenziali, dal campo d’azione della psicologia dell’emergenza che si occupa dei disturbi post-traumatici. Il focus sul singolo intervento di urgenza, tipico del nostro servizio, non è così diffuso in tutti gli altri progetti. La consulenza e la presa in carico a lungo termine l’abbiamo riservata alle attività del Centro Clinico con le caratteristiche che ho spiegato prima. Soprattutto, quasi nessuno prevede visite domiciliari in tempo reale. La maggior parte degli altri servizi riceve in sede e su appuntamento. Ancora, non meno importante, il nostro Servizio è gratuito sempre e aperto a tutti i cittadini senza bisogno di alcuna intermediazione. Siamo attivi solo durante il fine settimana e siamo tutti, indifferentemente, volontari non pagati (diverso è il discorso per il Centro Clinico, come ti dicevo). Infine, non abbiamo alcuna difficoltà ad incontrare persone con disagi molto gravi come i disturbi della personalità di tipo borderline e le psicosi, ovvero utenti già in carico ai servizi psichiatrici. Tutte queste caratteristiche messe insieme costituiscono la peculiarità di Urgenza Psicologica.

MG: Sulla questione del “pronto soccorso” ci sono articoli come quello di Ferdinando Camon su Avvenire…

GC: Sì, con l’auspicio di un Pronto Soccorso Psicologico in ogni città, ma alcuni di questi articoli lo intendono come servizio psicoanalitico che possa garantire la continuità del percorso analitico durante i viaggi delle persone, che non solo è difficilmente realizzabile, ma anche non molto comprensibile.

MG: E poi ci sono le iniziative di “psicologia sostenibile” che si diffondono negli ultimi anni…

GC: …che sono un altro discorso ancora. Credo che costituiscano un’opportunità largamente positiva per concedere l’accesso ai trattamenti psicoterapici anche a chi non se li può permettere per condizioni sociali ed economiche, così come intende fare il nostro Centro Clinico che ha anche partecipato alla sperimentazione di “Psicologi per Milano” promossa dall’Ordine lombardo un po’ di anni fa. I Livelli Essenziali di Assistenza del 2017, cioè la legge che prescrive quali servizi sanitari minimi debbano essere forniti al cittadino dallo Stato Italiano, prevedono l’erogazione della psicoterapia come prestazione sanitaria da parte delle strutture pubbliche o private convenzionate: vero è che da allora ad oggi non molto è cambiato da questo punto di vista perché la gestione sanitaria è regionale ed ogni Regione dovrebbe adottare un provvedimento proprio.

MG: Da questo contesto, nel suo carattere così specifico e diverso dall’attività clinica che facciamo tutti i giorni, che indicazioni emergono, che riflessioni sulla relazione di cura, per il terapeuta che lavora in contesti più “normali”?

GC: L’esperienza pluriennale dell’Urgenza Psicologica ci ha confermato alcune riflessioni sulle quali mi sto soffermando da un po’ di tempo.
Innanzitutto c’è uno spazio di lavoro e una domanda di servizi alla quale possono rispondere i colleghi psicologi con la sola laurea magistrale, una corretta formazione specifica ed un po’ di esperienza sul campo. Non sempre è necessaria una specializzazione e la qualifica di psicoterapeuta per poter essere utili.
Poi esiste un ampio ambito, quello psichiatrico, colpevolmente lasciato vacante dagli psicologi in mano ai medici psichiatri i quali oramai possono proporre solo ricoveri (in reparto o in strutture residenziali) e terapie farmacologiche senza fine. È in questo spazio di vita che si manifestano i disagi psicologici numericamente maggiori e più gravi e nel quale gli psicologi potrebbero aver tanto da dire e da fare. Penso appunto all’Open Dialogue di Seikkula, alla Recovery, al Budget di Salute, all’Housing Sociale; ai protocolli di scalaggio dei farmaci psichiatrici come quello proposto dall’International Institute for Psychiatric Drug Withdrawal al quale abbiamo aderito lo scorso 18 gennaio con un seminario di lavoro che si è tenuto a Milano presso la Casa della Psicologia.

International Institute for Psychiatric Drug Withdrawal

Penso, ancora, all’utilizzo in psichiatria dell’art. 4 della Legge 219 del 22 dicembre 2017 cioè le Disposizioni Anticipate di Trattamento. Insomma l’attività clinica a portata di mano sarebbe notevole, però in contesti poco “usuali” e attualmente presidiata da pochi psicologi altamente integrati ed istituzionalizzati negli Enti Ospedalieri.
Anche a volersi avventurare in discorsi un po’ più “scientifici”, le linee guida internazionali (dell’APA o le NICE), parlano di Evidence Based Medicine in cui possiamo trovare solo trattamenti cognitivo-comportamentali o terapie brevi strategiche. Come mai non sono molto diffusi o non esistono Percorsi Diagnostici Terapeutici ed Assistenziali (PDTA) psicologici? Cosa ce lo impedisce? L’art. 1 della Legge n. 56 del 1989, Ordinamento della Professione dello Psicologo, recita appunto: “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”.

MG: È vero! E agli psicologi che lavorano in un setting più “comune” cosa dice questa esperienza?

GC: In base alle considerazioni di prima possono emergere ulteriori riflessioni. Per esempio, il setting “normale” è un concetto superabile e che ha necessità di essere ridefinito in considerazione delle necessità di benessere e salute delle persone, non soltanto sulla base di tradizioni e abitudini teoriche. Poi che il lavoro di equipe è una risorsa preziosa e poco diffusa, poche scuole di specializzazione preparano alla collaborazione tra colleghi e alla multidisciplinarietà: oramai si può parlare di interdisciplinarietà in cui competenze e tecniche non sono alternative ma possono coesistere e si sovrappongono nella presa in cura dei problemi delle persone che quasi mai risultano prettamente individuali e che invece coinvolgono la complessità dei rapporti familiari, delle reti sociali, del lavoro e dell’abitare.

in conclusione l’Urgenza Psicologica vorrebbe essere, come l’hanno definita Pietro Barbetta e Umberta Telfner nell’introduzione del libro Complessità e Psicoterapia, “…una forma di accoglienza psicologica, extrapsichiatrica.
Non significa affatto una pratica antipsichiatrica […] un’urgenza dolce e accogliente e un possibile passaggio dall’urgenza verso diverse possibili terapie: individuali, familiari, gruppali, comunitarie”, e, soprattutto “sempre con un occhio etico alle questioni non autoritarie e anti-oppressive”, come ha scritto Barbetta.   

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