Pietro Barbetta: se la psicologia dinamica diventa statica
(già pubblicato su Ibridamenti.com)
M.G.: Pietro Barbetta, psicoterapeuta e docente all’Università di Bergamo e al Centro Milanese di Terapia della Famiglia, riprendiamo il discorso fatto qui? Nel tuo ultimo libro “Il linguaggi dell’isteria” tu dici che la psicopatologia non può capire l’isteria, perché è quest’ultima, semmai, che può dire la sua sulla psicopatologia. Credo che sia la ragione per cui da parecchio tempo scrivi intorno alla schizofrenia e all’isteria: il tuo lavoro di questi anni, se da una parte aiuta a comprendere quelle categorie diagnostiche, dall’altra ancora di più illumina le discipline che fanno uso di quelle categorie. Dunque, cosa dice l’isteria a proposito della psichiatria e della psicopatologia?
P.B.: Impone loro una ricerca scientifica inesauribile, non potremo mai dire di avere scoperto le “cause” dell’isteria e, in fin dei conti, neppure di avere scoperto l’isteria.
È una patologia l’isteria? Si, ma… e qui potremmo parlare all’infinito, intorno a questo “ma”.
È un po’ come nel problema che pone Kuhn della struttura delle rivoluzioni scientifiche, la fase del paradigma è quella dove l’isterica si avvinghia attorno al suo Master: il paradigma, personificato volta per volta nel chirurgo che la clitoridectomizza, nell’educatore che la rinchiude, nell’ipnotista che la manda in trance, nello psicoanalista che la fa sdraiare sul lettino, nel terapeuta familiare che la vede con la sua famiglia, nel supervisore del terapeuta che rimane invischiato nell’isteria del terapeuta isterizzato dall’isterica, così avanti all’infinito.
M.G.: Psicologia dinamica, scrivi, come psicologia del possibile. Hai anche tu l’impressione che ci sia in giro molta psicologia statica? Che continua ad avere come riferimento la medicina, anzi no, l’anatomia patologica? Leggo relazioni diagnostiche che sembrano referti autoptici (anche nello stile, intendo), descrizioni di corpi morti…
P.B.: Che sconforto e che vergogna vedere la psicologia ridotta così, ancella e serva del discorso medico, del cognitivismo che scotomizza la cognizione dalle affezioni. Le nostre università sono una vera disperazione:
a) non si possono vedere casi clinici perché c’è la privacy: assurdo! Forse perché molti dei professori non fanno la clinica, ma temono di venire scoperti; in tutto il mondo si fa clinica a psicologia come si fa a medicina: la legge sulla privacy vale solo per gli studenti di psicologia e non per gli studenti di medicina?
b) s’insegnano (quasi sempre molto male) batterie di test senza dare agli studenti una formazione anche storica sull’uso dei test. I nostri studenti escono conoscendo male i test intellettivi e senza sapere che dal 1917 furono usati come strumento di discriminazione razziale, studiano l’MMPI senza sapere che nel 1972 il suo inventore scrisse che bisogna stare attenti a usarlo e che un buon clinico in due ore di colloquio trae molte più infromazioni, i proiettivi senza avere la più pallida idea dell’enorme differenza tra un TAT e un Blacky, nessuno gli spiega la storia, il contesto in cui sono nati e se e quando sia opportuno usarli;
c) la filosofia, la letteratura (grandissima fonte per la clinica da Freud in poi), l’antropologia, la storia della scienza vengono quasi sistematicamente ignorate (credo che Bergamo sia l’unica università nel belpaese a insegnare queste materie a psicologia, e il bello è che in altre università di psicologia dove fanno l’esame di stato i nostri studenti rischiano di venir bocciati da bruti che non hanno mai letto un libro (eccetto il manuale dell’SPSS) e che non hanno mai incontrato un paziente o comunque non hanno mai svolto pratiche sociali inerenti la psicologia.
M.G.: Nel nono capitolo, parlando delle “nuove forme isteriche”, fai un lungo accenno alla Rete. A un certo punto ti domandi se, essendo stata la scrittura epistolare rimpiazzata dal Internet, questo costituisca il tramonto dell’isteria o, al contrario, una sua diffusione planetaria. Diresti qualcosa in proposito per i navigatori che ci leggono?
P.B.: La scrittura epistolare è un modo di comunicare con aura, dalle lettere dei vangeli fino ai dolori del giovane Werther e oltre. Michael White in ciò ci è stato maestro, ci ha insegnato che possiamo anche permetterci di scrivere una relazione per l’ASL con uno stile (come diceva Bateson: il bene si fa nei minuti particolari). Internet è come la caduta dell’aura nella comunicazione scritta. Le reazioni possono essere due, quella che ebbe Benjamin quando vide la caduta dell’aura nell’opera d’arte scrisse: quasto è fantastico. si apre una nuova era: l’arte sarà costretta a cambiare, a dirci cose nuove!, oppure quella del signor Wiesengrund, che si faceva chiamare Adorno: con la scusa che la mamma gli aveva passato la passione per la musica, e con tutta ‘sta passione per la musica, quando sente in America il jazz, lo bolla come spazzatura. Io parafrasando Weber potrei dire: non dobbiamo ripetere altro che questo: “viva la spazzatura”.
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