Gregory Bateson: “Il mondo non è fatto per niente così”
Cominciamo l’anno col pensiero di un maestro a cui veniva più naturale connettere che separare.
Non era raro che Gregory Bateson se la prendesse con la scuola e con il sistema educativo in genere, colpevoli a suo avviso di assecondare e tramandare gli errori epistemologici di cui soffre la nostra epoca e di non insegnare le cose importanti.
Questo breve video (che ho scoperto grazie a Pietro Barbetta e che è disponibile sottotitolato grazie a Il Narratore) è un estratto dal lungo documentario “An ecology of mind”, al quale Nora Bateson sta lavorando.
La prima parte sono convenevoli di studiosi che l’hanno conosciuto: guardatelo e ascoltatelo soprattutto da 0:58.
non conoscevo questo video, che bello! grazie
Andare contro le divisioni è un po’ come andare contro il diavolo, “colui che divide”. E allora Bateson è un “esorcista” delle nostre menti 😉
Il primo che interviene é Gerry Brown, che fu governatore della California tra il ’75 e l’83, subito dopo Ronald Reagan, nonché attualmente California General Attorney. Mi sembra molto significativo che i brevi commenti si aprano con quelli di un politico come Brown, che divenne governatore mentre gli USA chiudevano contemporaneamente col Vietnam e con i figli dei fiori. Io andai nell’area di San Francisco in quell’estate; della coppia che mi ospitava lui era fervente repubblicano e lei democratica. La ferita aperta del Vietnam sanguinava e i cimiteri militari pieni di croci bianche facevano un’impressione terribile. Gli hare-krishna che danzavano nel campus di Berkley attorniati da ex figli di fiori che tentavano pateticamente di venderti qualsiasi cosa facevano altresì una tristezza tremenda. Insomma, tirava brutta aria, un mucchio di gente stava male e non aveva voglia di parlare. Credo che se avessi conosciuto Bateson allora gli avrei parlato molto volentieri. E se potessi parlargli adesso prenderei gli ultimi 40 secondi di questo filmato e gli direi: “insomma, ti vuoi decidere o giochi a fare l’esitante perpetuo? Il mondo non é per niente così oppure (“o/o”) quello in cui tu vivi non é per niente così sicché bisogna decidersi? Se poi, come sembreresti suggerire un po’ sotto i metaforici baffi, non é “o/o” bensì “e/e”, allora vuoi dichiarare apertamente le tue parentele filosofiche (ad es. Husserl, Lévinas)? E se no, perché non lo fai?
Ehm, non é per parlarmi da solo… ma mi sono immaginato una possibile risposta di Bateson. Potrebbe essere così: “perché questi autori che tu citi dichiarano una metafisica forte. Non c’é niente di male in una metafisica forte, ma l’idea di averla é pericolosa perché è difficile sfuggire alla tentazione di imporla a qualcun altro. Ti senti autorizzato, capisci? O addirittura potresti sentire il dovere di farlo”. A questo punto penso che gli direi: “beh, sottolinei un pericolo estremamente reale, purtroppo. Però non é possibile non avere una metafisica. Forse la sfida sta nell’avere il coraggio di avere una metafisica definita senza volerla imporre agli altri e senza perdere la curiosità; é una posizione difficile, perché – se la prendi – avrai guai di sicuro.
Lasciavo passare un po’ di tempo in attesa che qualcuno dicesse la sua sulle obiezioni di Massimo Schinco: mai e poi mai avrei pensato che l’avrebbe fatto Gregory Bateson! (O meglio, il Gregory Bateson di Massimo: vabbé…).
Però, Massimo, ho l’impressione che col tuo giro alla fine sei arrivato dalle parti sue: che differenza c’è fra dire “il mio mondo non è fatto così” e l'”avere una metafisica definita senza volerla imporre agli altri e senza perdere la curiosità”?
P.S.: che ne pensi dell'”esorcista” di Sergio? 😉
Alla prima domanda (“che differenza c’é…)rispondo così: la differenza sta nel fatto che avere una metafisica definita implica che, anche se essa é “mia” in quanto “ritagliata” grazie all’intenzionalità della mia coscienza, essa comunque non é solo mia se non altro per il fatto che la coscienza stessa é mia ma non é solo mia. Più che in una prospettiva postmoderna quindi siamo in una prospettiva trascendentale.
A proposito dell’ “esorcista”… beh, la metafora é potente, soprattutto se la pensiamo applicata alla clinica (penso ai doppi legami, ma anche alle “idee perfette”). Sempre ricordando Cecchin, aggiungerei che la circolarità non serve per prendere il tram (magari lo prendi nella direzione sbagliata… come a me é successo un paio di volte). Senza l’aiuto del pensiero dividente manco “fra martino” sul flauto dolce riesci a suonare. Ma questo Bateson lo sapeva benissimo. Mi sa che più che altro voleva esorcizzarci dal demone cartesiano (e dire che Cartesio, se non ricordo male, é perfino andato in pellegrinaggio a Loreto per ringraziare dell’ispirazione ricevuta…). Però, salvaguardare l’unità del mondo e la chiarezza del pensiero (con tutto il rispetto, Bateson a volte é nebuloso, o no?), questa sì che una sfida.
Ciao! sto preparando una tesi su bateson e questo film-documentario sarebbe davvero fondamentale! per caso sapete quando esce?
in onore di Bateson ho pure aggiunto un avatar (non sopportavo più quella brutta faccia accanto ai miei commenti…) ma per ora non lo vedo
@ Alessandra: penso vada per le lunghe. Se ho capito, questo estratto serve proprio per propagandare il progetto e raccogliere finanziamenti per portarlo a termine.
L’unica possibilità che hai di avere il film in tempo per la tua tesi è quella di mandare una cospicua donazione… 😉
@ Massimo S.: può essere che il paradosso di Bateson (“il mondo non è così, per cui decidetevi: se volete, è così”) sia un’esortazione a “costruire” un mondo e un sapere più connessi? O comunque ad assumersi la responsabilità di quello che si “vede”?
D’altra parte per tutti noi il primo segnale “forte” della separatezza delle discipline è stato… il campanello della scuola! Suonava una volta ogni ora per ammonire che quello che era successo fino a un secondo prima non aveva niente a che vedere con quello che sarebbe successo un secondo dopo! E se avevi ancora sul tavolo il libro di aritmetica nell’ora di italiano, guai!
Allora, certo che quel campanello diceva una bugia: ma se a quella bugia ci credi (se scegli di crederci), il campanello della scuola continua ad essere la metafora di come è fatto il mondo. Anzi, non è più una metafora: è la realtà.
Se invece credi che sia una semplificazione a cui la scuola ricorre per evitare eccessive complicazioni (lo dici anche tu, no? Con la circolarità non si prende nemmeno l’autobus), il mondo che vedi è diverso.
Insomma, un postmoderno direbbe che il campanello è un modo di vedere come un altro. Bateson, da come ammonisce gli astanti, si vede invece che a una verità ci crede (e altrove dice anche delle cose molto severe circa le conseguenze perverse di una epistemologia che separa: conseguenze sul futuro dell’umanità, addirittura!): ma se uno sceglie l’errore, certamente costruirà un mondo altrettanto coerente. E se ne assume la responsabilità.
PS: l’avatar è al suo posto!
Il campanello della scuola… il più delle volte era la salvezza, la liberazione, la fine dell’incubo! Non eri stato chiamato alla lavagna nell’ora di geometria. Non eri stato interrogato di greco o di sintassi francese. Eri comunque un passo avanti verso la libertà delle 13.00, verso il sospiratissimo pranzo, verso le ragazze da cercare di accompagnare a casa, verso i tuoi libri, i tuoi amici, la tua musica, verso un momento di pace prima di un pomeriggio stracarico di versioni da fare, esercizi da risolvere, pagine da studiare tentando di salvaguardare un po’ di libertà preserale.
Ma totalmente contrapposti a questi ricordi me ne vengono altri, anche recenti, ad esempio di una cosa successa un paio di volte, e cioé del bidello del conservatorio che viene a cacciarci fuori perché ormai sono le 20.00 del sabato sera e quindi, ci piaccia o no, la lezione (gli studenti erano lì dalle 9.00 del mattino e io con loro solo da quattro ore)é finita e dobbiamo andare a casa. Oppure degli scolari di mia moglie (perché poi ho sposato una maestra) che hanno voglia di tornare a scuola dopo le vacanze che sono sì, belle e riposanti ma a scuola si fanno un mucchio di cose interessanti e divertenti, anche se a volte faticose (é vero, li ho visti e li ho sentiti io e non mentivano!E poi so che cosa gli fa fare mia moglie e li invidio da matti, se penso alle mie scuoel elementari…). Per quanto mi piaccia studiare penso di avere detestato poche cose al mondo quanto la scuola. E poi, guarda un po’, ho passato, e passo, una buona fetta della mia vita ad insegnare. Non ero ancora laureato e già insegnavo alla Scuola per Infermieri! Dove capitavano cose pazzesche, ovvero che un paio di colleghi medici (gente che insegnava patologia, cose simili) chiedessero di partecipare a qualche lezione, perché era interessante e si poteva allargare il dialogo tra noi e con gli studenti.
“Carisma” personale, mio, di mia mia moglie, di tanti altri colleghi a cui succedono cose simili? Bah, in parte può anche darsi, ognuno ha il suo ed è bello se si può manifestarlo. Però spiegarsela così e basta per me é inacettabile.
Allora, il punto di partenza é che Bateson sicuramente mette non solo un dito, bensì un ditone in una piaga grossa e purulenta. Però il ragionamento andrebbe approfondito. E questo post é già troppo lungo e rischia di amamzzare il dialogo. Per cui le altre cose che mi verrebbero da dire per rispondere a Massimo G. le dirò dopo che sarà intervenuto qualcun altro.
Quanto dice Bateson sulla non separazione delle discipline (psicologia, socilogia, antropologia…) è fondamentale. Capire le persone significa conoscerne la realtà, quindi conoscerne la cultura di riferimento che la generano, le interazioni e il linguaggio.
Speriamo esca presto il documentario.
Ale
A questo indirizzo (http://twm.co.nz/pribram.htm)si trova un’intervista molto informale a Karl Pribram, cui dobbiamo il cosiddetto “modello olonomico” della memoria. Siamo quindi in un ambito al di sopra di ogni sospetto causalistico-lineare. Ne ho tradotto due righe:
“…Vedi, il bello della scienza é che é fondamentalmente basata sulla condivisione. Ora, più precisamente e chiaramente io posso definire qualcosa – e la ragione per cui vogliamo quantificare non é perchè ci interessino le quantità, ma perché così puoi comunicare e condividere molto più chiaramente che se non avessi grandezze. Così tutta la scienza é basata sulla nozione di condivisione, e dobbiamo definire le cose”.
Bene, così parlò Pribram.
E che cosa vuol dire “definire le cose”? Vuol dire, inevitabilmente, discendere da un ordine di grado infinito ad uno di grado finito… o comunque scendere di grado, cioè semplificare e separare, che è quello che ogni buona teoria fa, mentre realizza connessioni originali. Quindi, dal mio punto di vista, non c’è nulla da ridire se un tempo si studiavano tutte queste materie separate… forse può andare bene ancora adesso come punto di partenza. Il guaio sta nel far credere “che il mondo sia veramente fatto così”, ingiungendo un divieto di crescita che, se praticato a scuola, porta al rigetto della scuola. Però il pensiero dividente non possiamo buttarlo a mare, se no finiamo in una marmellata in cui non si capisce niente, non si condivide niente, non si realizza niente.
Dunque Alessandro fa suo il punto di vista di Bateson e Massimo S. fa l’avvocato del diavolo… 😉
Penso che per apprezzare l’intervento di Massimo si debba aver assistito almeno una volta a un sua lezione!
Io ho passato con lui – come allievo del Centro Milanese, prima, e come suo assistente qualche anno dopo – abbastanza tempo da sapere che, è vero, è molto distante dall’essere uno di quelli che aderiscono al pensiero che separa: anzi, mi ricordo quando nel bel mezzo di una lezione su non mi ricordo che articolo di terapia della famiglia, proiettava un video di Giorgio Gaber! O altre cose ancora più ardite che non sto qui a dire 🙂
E poi, negli anni in cui ero suo allievo, pubblicò un suo libro strepitoso dove trovavi Puccini, Bateson e il sacro! E da allora conosco quello che ha pubblicato e so di quello che sta per pubblicare.
Nessun dubbio, insomma, sul fatto che Massimo è uno che quella connessione fra discipline la pratica con spontanea dedizione.
Eppure, ha tutta l’aria di storcere il naso davanti a questa specie di “manifesto” batesoniano.
Credo che col tuo penultimo intervento, Massimo, intendevi che in fin dei conti è l’insegnante ad essere noioso o stimolante, è lui che sceglie di fare a pezzi il sapere o di trattarlo come un tutto. Cecchin faceva arrabbiare tanta gente quando diceva che prendersela con la pena di morte è ipocrita, perché ciascuno di noi, anche non facendo niente (anzi, ancora di più), ne è responsabile.
Prendersela con i metodi di insegnamento forse è qualcosa del genere: i metodi sono quella serie di scelte e quella serie di responsabilità che tu, io, quelli che sono impegnati nella didattica di qualche cosa, ci assumiamo quando siamo “all’opera”.
Ci sto.
Questo mi porta al tuo intervento recente: fare distinzioni è utile, ma guai a “crederci”.
Arrivo a pensare che lo stesso Bateson non fosse ostile alle distinzioni: d’altra parte, quando afferma che le discipline non sono separate le une dalle altre, le nomina una per una! Però, certo, avrebbe fatto delle distinzioni diverse. Non avrebbe classificato le discipline in base al loro oggetto (alla “sostanza”) ma in base al tipo di connessioni che cercano (alla “forma”).
Certo, il suo modo di connettere le cose forse non aiuta a risolvere il problema a cui giustamente richiama Pribram…