Benjamin Button contro Peter Pan
A Benjamin Button è toccato di vivere a ritroso. Nato vecchio e grinzoso, nel corso degli anni vede il suo corpo riprendere vigore, la sua pelle tornare tonica e i suoi capelli radi e bianchi diventare folti e biondi.
Ci sarà un momento in cui la sua età apparente corrisponderà finalmente a quella cronologica: sarà però un breve attimo, e Benjamin, compiuto il giro di boa della metà della vita, continuerà a veleggiare verso l’adolescenza e poi l’infanzia, mentre le persone che ama piano piano invecchiano e se ne vanno.
Intorno ai dieci anni (quando ne dimostra suppergiù una settantina) conosce la piccola Daisy. Si ritroveranno altre volte lungo le rispettive esistenze. Non voglio raccontarvi tutto, ma immaginate anche voi cosa succede a due persone quando si incontrano per un breve attimo mentre vanno in direzioni opposte.
Incontro spesso, nel mio lavoro, persone che mi dicono “Sa, credo di avere la sindrome di Peter Pan…”. Lo dicono contrite e vergognandosene un po’. La “sindrome di Peter Pan”, luogo comune coniato e reso immortale dai media e da quella psicologia punitiva che imperversa in televisione e nei settimanali allegati ai gadget, è l’imbarazzante marchio di chi non vuole crescere, eterno bambinone che mai e poi mai si assumerebbe le sacrosante responsabilità di quelli che invece sanno stare al mondo.
Poi, certo, il ragazzo volante creato da James Matthew Barrie è ben altro che uno stolido gaudente mai cresciuto, ma qui mica stiamo parlando di letteratura, stiamo parlando dell’inganno di certi luoghi comuni. Far sentire le persone difettose e inadeguate può essere un ottimo business. Male che vada, fa vendere un sacco di libri.
Così, pensate quello che volete del film di David Fincher (e degli effetti speciali sparsi a piene mani, e di quel Brad Pitt mirabilmente incartapecorito), ma mi piace come metafora il personaggio tragico di Benjamin Button, uno che si fa carico con coraggio della condizione – che non ha scelto – di vivere contromano.
Perché conosco persone a cui la vita ha assegnato un’infanzia adulta; senile a volte, genitori dei loro genitori. E che, quando sarebbe il momento di rimboccarsi le maniche e prendersi il loro posto nel mondo, cercano piuttosto di ritrovare il loro posto nel nido, per farsi curare finalmente malanni e tristezze.
Il povero Benjamin lo ritroverà troppo tardi: tornato neonato e ritrovato un abbraccio protettivo, in quel momento chiuderà gli occhi per sempre.

C’è gente che non crede all’amore di una vita, che non apprezza il “vivere insieme”, che cerca emozioni date da cambiamenti di stato non necessari veramente, che insegue il passato o pensa sempre al futuro…Benjamin incrocia il suo amore solo pochi anni, poi la sua condizione lo trascina via da ciò che aveva tanto atteso. E’ vero, sembra anche a me che lui abbia il coraggio di farsi carico del suo stato: attendere quando è tempo di attendere, vivere il suo amore, (la normalità che tutti sfuggono gli è concessa per poco…) ed infine attendere ancora … ma l’amore ritorna a cercarlo e a proteggerlo e il cerchio si chiude con la nascita-morte cullato da lei.
E’ una storia d’amore, di chi non si rifugia, di chi non sfugge alle responsabilità, di chi non dà la colpa alle cose fuori di sé. Altro che sindrome di Peter Pan…
Grazie Massimo
Hai filtrato il film e mi hai restituito la bellezza della storia (forse è la bellezza del racconto, ma non l’ho letto). Questo tuo post mi ha presa e commossa più quanto non sia riuscita a fare nessuna scena del film (tranne un po’ la morte di BB): non sono quello che si dice un’insensibile e quindi ci deve essere davvero qualcosa che non ha funzionato nel rapporto tra me e il film.
Perciò grazie, anche perché mi permette una parziale riconciliazione con il film, cosa sempre benvenuta per un’amante del cinema.
Sono andato a vedere “Il curioso caso” in cerca dei livelli di lettura di cui parla Paola ma mi sono ritrovato a condividere parte delle perplessità di Chiara.
Sai, Chiara, cosa non va secondo me? Il fatto che un film così avesse bisogno di computer grafica a ogni pie’ sospinto. Che in un polpettone sfasciamacchine è un conto, ma in un film dai toni del dramma rischia di sconnetterti dalla storia, di rovinare la magia, di annientare la “sospensione dell’incredulità” di cui la narrazione – e il cinema particolarmente – ha bisogno.
Secondo me in troppi momenti, mentre condividi il dramma dei personaggi, a un certo punto succede che ti dici “cavolo, questi software moderni, come faranno a fare Brad Pitt alto un metro e trenta?”. E lì ti “svegli” e tanti saluti.
Sarei curioso di leggermi il racconti di Scott Fitzgerald.
Ho visto il film appena uscito e nonostante sia passato del tempo mi ritrovo spesso a rifletterci su… a cercare una chiave che sembra sfuggirmi… L’idea dei percorsi temporali invertiti è più che affascinamente…età mentale ed età biologica scollate e inversamente sovrapposte… il film emoziona… B.B. è un bambino rifiutato che ha la fortuna di trovare comunque un luogo sicuro dove “crescere “, si perchè, per le persone più care, lui è un bambino come gli altri….. crescerà però con la consapevolezza di essere diverso in un mondo che non lo vede e non lo comprende…fino a quando non incontra l’amore e inizia a desiderare… fino a quando la curiosità per un mondo ancora tutto da esperire non lo porta lontano… da quel momento in poi la sua vita cambia, si appropia dell’esistenza: lavora, viaggia, combatte, ama, diventa padre. . . solo allora potrà permettersi di tornare bambino, e la morte tra le braccia accoglienti del grande e unico amore?….il simbolismo della rinascita è evidente…
Che sia metafora del processo terapeutico?
Riflettiamoci, intanto credo che leggerò anche il libro.
Ho il sospetto che una delle qualità di un film, un libro, una canzone, sia quella di attivare in ciascuno dei link differenti. La connessione con la terapia è stimolante…
Eliana, come te la cavi con l’inglese? Da questa pagina del sito Manybooks.net si può leggere “The curious case of Benjamin Button” di F. Scott Fitzgerald (1922) e stamparlo nel formato che preferisci, impaginato secondo le tue istruzioni (formato, font, misure). Gratis e legale.
Se lo trovo anche in italiano vi faccio sapere.
Inquietante e vera la frase “Far sentire le persone difettose e inadeguate può essere un ottimo business”.
Gulp!
ciao
Caro Massimo ( cari compagni di interesse),
ho trovato il racconto di Fitgerald una favola algida e triste, nonostante le bellissime illustrazioni di Calef Brown che lo accompagnano (Donzelli Editori), il film è “tratto” ed è veramente diverso… si, gli effetti speciali lo caricano un po’, ma tutto è perdonabile davanti all’essenza simbolica della “nuova” storia. Sono una romantica e amo il buon cinema…
L’amore vero varca il tempo e ogni diversità, concetto forse banale e consunto ma sono grata a chi lo ripete con echi e forme altre.