Antipsichiatrico a chi? Pietro Barbetta e "Lo schizofrenico della famiglia"
– Ciao, Pietro, è un sacco di tempo che ti sento parlare della gestazione di questo libro. Come mai è rimasto in attesa così a lungo?
– Bella domanda, mi costringi a sbilanciarmi… Diciamo che questo libro mi ha mostrato la tendenza del mercato “psi” a non parlare di schizofrenia se non in relazione al trend che va di moda: neurotrasmettitori e “cervella” (uso il termine culinario per indicare “la materia”, “la natura”). Poi ho trovato Meltemi, un editore coraggioso e innovativo, uno dei pochi “in Italia” (come direbbe Fabri Fibra).
– Mi ricordo che l’anno scorso, in un convegno SIRTS, raccontasti di una terapia in cui era coinvolto un servizio psichiatrico. Quest’ultimo aveva l’aspettativa che il terapeuta della famiglia si adoperasse per convincere il paziente a prendere i farmaci. La tua posizione fu che la terapia della famiglia era qualcosa d’altro rispetto alla farmacoterapia e che non poteva essere al servizio di quella. Fra il pubblico c’era un clinico di fama internazionale, e conoscendolo come uomo saggio, e clinico di tendenza “progressista”, mi sorpresi molto vedendolo alzarsi e protestare che il tuo era un approccio “antipsichiatrico”. Tu rispondesti che non era anti-qualcosa, era semplicemente non psichiatrico!
Non è strano che sia così difficile spiegare la differenza? Intendo, che la psicoterapia non è un’attività ancillare rispetto a qualche forma di controllo esercitato da altri agenti?
– Sì, oggi va di moda l’anti-anti-psichiatria. Il collega di cui parli, che io stimo e ammiro profondamente per il suo grandissimo contributo (dagli anni sessanta in poi alle teorie e alle pratiche di terapia familiare) mi disse che io ero come David Cooper. Cosa che mi onora, anche se l’analogico lo faceva sembrare più un rimprovero che un elogio. Ma io non la penso come David Cooper. Cerco modelli linguistici che evitino l’Anti, argomenti rivolti all’Altro, non all’Anti. Perciò il mio è un discorso Altro.
– Nei tuoi libri ti riferisci abbondantemente a Bateson e a von Foerster, ma anche a Foucault, Deleuze, in quest’ultimo anche a Sartre. A Bergamo hai dato vita a un seminario permanente su Bateson, Deleuze e Foucault. Perché per l’aspirante terapeuta è importante leggere autori come Foucault, Sartre e Deleuze a fianco dei padri del pensiero sistemico e costruttivista?
– Perché hanno scritto e detto cose simili venendo da campi molto diversi, da climi culturali assai differenti, perché si sono fatti eco a distanza. E poi perché Bateson è stato distorto a sufficienza da una parte e forse per raddrizzarlo, bisogna distorcerlo a sufficienza dall’altra. La schismogenesi è diventata una lezioncina da ripetere e pochi si ricordano del sillogismo in erba, della sacra unità, del plateu continuo d’intensità (anche perché “in Italia” plateau è stato reso con livello), del gioco, ecc.
Deleuze si è accorto che quando Bateson parla del plateau, parla dell’orgasmo nella cultura occidentale e del desiderio che si può collocare su un plateau immanente, anziché scaricarsi. Il desiderio nella cultura occidentale moderna è vissuto come mancanza dell’oggetto, come scarica. Ecco la svolta: il desiderio è culturale, anche se viene vissuto come naturale. Capisci l’importanza di connettere Bateson a Foucault, Deleuze a von Foerster?
– In questo periodo sei anche nel libro di Ibridamenti. Come vedi l’evoluzione del blog come strumento di comunicazione e confronto scientifico e culturale?
– Positivamente. Il virtuale è democratico, le tue capacità e sensibilità non vengono discriminate solo perché sei autistico, o semplicemente schivo e disinteressato a guadagnare enormi somme di denaro. Là nascono siti come Ibridamenti, Aspies for Freedom, epidemiC, ecc.
Là la proliferazione, la deterritorializzazione, lo spazio anche per chi non compete per vincere, per il desiderio come piano d’immanenza. Prova a pensarci, perché è un pensiero difficile da sostenere emotivamente per noi occidentali: “il desiderio non manca di nulla”. Quando siamo sempre stati abituati a pensare al desiderio come mancanza, questa è la connotazione positiva!
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[che significa?]
Una minidisputa analoga è accaduta anche durante un seminario per la scuola di psicoterapia. Una psichiatra si è alzata (non aveva inteso il livello di pensiero in cui stava abilmente viaggiando il nostro prode) arrabbiandosi per parole antipsichiatriche. Pareva avesse un po’ la coda di paglia, a dire il vero. Fatto sta che la disputa è andata avanti per un bel po’, mi pare senza approdare a conclusioni efficaci, nè per l’una nè per l’altra parte.
Diverso anziché antitetico. La logica dell’ “e…e”, anziché la logica oppositva e sostitutiva dell’ “o…o”.
Questo è molto web 2.0, molto navigazione, molto plurale. Molto.
Caro Tito, te ghe propri rasun! Quella volta là io e questa collega ci siamo fatti prendere dalla disputa “anti”. Non è facile uscire dall’ “o..o” per entrare nell “e..e”. Io facevo esempi troppo stupidi, del tipo che nel medio evo credevano all’esistenza degli angeli come ora a quella dei neurotrasmettitori, ma io non ho mai incontrato né gli uni, né gli altri. Ricordi? Speravo di far ridere la collega, ma lei si arrabbiava dicendo che le tecniche di neuroimaging mostravano… E io, da idiota: “Anche Padre Pio si mostra”. Che disastro! La schizofrenia crea ancora tanto scandalo da scaldare così gli animi (le anime?), di noi tutti, questo vuol però anche dire che c’è passione, no?
Che buffo! Anche ai terapeuti capita che sfuggono questioni di ordine relazionale scambiate al momento per diversità di contenuto. Forse ciò accade proprio perché gli animi (anime?? eheh…) si scaldano. E per fortuna!!
A parte questo, credo che davvero a volte sia ben difficile discutere serenamente con alcuni interlocutori (non solo psichiatri, anzi!). Il problema è che si parte da premesse così tremendamente distanti. E se uno non ha dimistichezza con le discussioni epistemologiche, se uno non ha voglia di far fatica, se uno è così malato di realismo fottutamente monista da non pensare che esistano diversi mo(n)di possibili di leggere le cose… beh allora è un gran problema.
Proprio stamane, nel mio piccolo (insegnamento alle superiori), ho cercato di mettere in chiaro alcune questioni di base, senza affrontare le quali la psicologia e i discorsi della/sulla psicologia vengono presi maledettamente alla lettera. Citando il buon Massimo… solo gli schizofrenici e gli psicologi sanno prendere alla lettera le metafore!!!
mi dispiace per quel congiuntivo perso a inizio commento.. ero molto stanco quando l’ho scritto! non ricapiterà. W IL CONGIUNTIVO SEMPRE!
Grazie Tito, ma anche la nostra collega è congiuntiva, quando (opportunamente) abbiamo fatto l’intervallo ci siamo capiti, le passioni son passioni e vanno coltivate, anche se a volte ci portano a essere veementi, è un segno d’amore e di passione anche quello. Come diceva Gianfranco, quando possiamo cerchiamo di essere un po’ irriverenti e coltviamo l’imperfezione (questo lo dice con Tiziano, altro grande artista della psicoterapia).
Questa me la tengo stretta 😉
Leggere questa intervista mi ha fatto sorgere una riflessione. Dagli anni ’60 è diventato necessario schierarsi per crearsi un’identità: essere ‘pro’ o ‘contro’ un pensiero era necessario per darci un’etichetta di fronte agli altri. E questo è un imprinting culturale che non ci ha più abbandonato, nel bene e nel male. Viene automatico pensare che se una persona prende una posizione diversa dal ‘pro’ sia necessariamente contro, soprattutto in campo medico e sociale, o comunque che stia dimostrando palesemente di avere forti dubbi a riguardo. Forse l’ “altravisione” che ci propone Boscolo è anche la capacità di offrire uno sguardo terzo, che ponga elementi nuovi ma soprattutto un focus altro, non solo come strumento di terapia ma anche nel professionale quotidiano, come nell’esempio che Barbetta ha proposto. E se questo da fare non è facile per i professionisti…. non mi riesce difficile immaginare le difficoltà che può vivere un sistema famigliare o in generale una persona di fronte ad un esempio di tipo sociale o sanitario, e il loro inevitabile disorientamento. Interessante… magari ci faccio la tesi :))
Giusto, Manuela, anzi: grazie ancora a Pietro Barbetta, chiacchierare con lui fornisce sempre un bell’esempio di approccio non ideologico alle cose.
P.S.: per dare a Cesare quel che è di Cesare, il metodo di lavoro chiamato “altravisione” è il frutto della pratica di un boscoliano di Milano, Antonio M. Caruso. (Ciao, Anto’!)
E’ davvero una intervista perticolare perché è diretta, chiara e “aperta” ed è per questo che fa riflettere.
Credo che la difficoltà di fare un discorso sulla rete (come su tutti i luoghi in cui c’è relazione) passi sicuramente attraverso l’innovazione non solo concettuale ma anche linguistic. E’ facile dire l’anti: è davvero complesso costruire un “discorso su” che sia in qualche modo svincolato dal contesto culturale e ideologico che lo genera.
Ibridamenti ci sta provando a partire dal terreno delle pratiche. Non si può parlare di rete, se non si è in-rete.
Come voi 🙂
Maddalena Mapelli
coordinatrice del blog Ibridamenti
Ciao, Maddalena, la questione dei vincoli linguistici è importante: usiamo un linguaggio lineare e semplice per parlare di sistemi, complessità, rete. E’ una bel paradosso che impegna da tanto tempo i teorici e clinici sistemici e che ritrovo nel progetto del gruppo di Ibrid@menti. Fantastico.
Approfitto per segnalare a tutti il “nuovo” ibrid@menti, all’indirizzo http://www.ibridamenti.com. Appena ho un attimo, una finestra la apriamo anche da questo blog!
Buon giorno a Tutti sono Isabelle, devo fare l’esame di psicopoatologia, e tra i testi di studio ho il testo del Prof.Barbetta Lo schizofrenico della famiglia.
Purtroppo ci sono dei concetti che ho molta difficoltà a capire. FORSE PERCHè NON ESSENDO ITALIANA HO UN PO’ DI DIFFICOLTà ANCHE LINGUISTICHE.
Chiedo un vostro aiuto!
Come posso definire l’inconscio psichiatrico?
IL DISPOSITIVO E LA DISPOSIZIONE?
LA CRONICA NORMALITà?
GRAZIE MILLE VI SONO MOLTO GRATA
BUON LAVORO A TUTTI ISABELLE
Carissima Isabelle, molti dei concetti che Lei menziona sono presi da autori francesi, come Michel Foucault. Per ulteriori chiarimenti, Le suggerisco di guardare il video con la presentazione del mio libro presso la libreria Utopia di Milano che si trova nel sito http://www.pietrobarbetta.net e i video del sito http://www.bidieffe.net, che l’aiuteranno a familiarizzarsi con la terminologia e i concetti del libro.
cordiali saluti
Pietro Barbetta
Grazie di cuore Professore per i suoi suggerimenti.
Faro’ un rendez-vous con questi autori!