CONVERSAZIONI FRA ESPERTI
Il genogramma approda in Comunità
 

“Con gli altri inventiamo storie,

ogni storia è una conversazione continua

fra persone che hanno bisogno di esistere.

Se non c’è la storia c’è il nulla.

Quindi è meglio una storia disastrosa
che il nulla".

Gianfranco Cecchin

 

 

Un utilizzo inconsueto del genogramma , riguarda un lavoro di gruppo che si è svolto nel settembre 2003 presso una comunità per il recupero di tossicodipendenti, che ha la particolarità di essere riservata a coppie con o senza figli. Il monte ore a disposizione dello psicologo consulente era sufficiente per poter proporre un’iniziativa che esulasse dagli ordinari colloqui individuali e di coppia con gli utenti, e che coinvolgesse un gruppo di persone al termine del programma comunitario; lo psicologo stesso il dott. Massimo Giuliani ed io, Laura Vernaschi,  in qualità di tirocinante al secondo anno del Centro Milanese di Terapia della famiglia, eravamo allettati dall’idea di offrire qualcosa che fosse una novità sia per noi che per il gruppo di partecipanti.
Partendo dal presupposto che solo i diretti interessati sono esperti della propria storia familiare, abbiamo pensato di affidare loro due strumenti, il genogramma appunto e le sculture familiari, che di solito appartengono alla “valigetta degli attrezzi” dello psicologo: porli nelle mani di quelli che generalmente ne sarebbero stati i destinatari, ha voluto costruire insieme a loro un nuovo significato, non solo della loro storia, ma anche dello strumento stesso.

 

II contesto

Tale esperienza si è svolta in modo abbastanza autonomo rispetto all’ordinaria vita della comunità; in particolare, lo staff degli operatori era caratterizzato da una situazione di instabilità e da un carico di lavoro faticoso da sostenere, condizione che da tempo aveva portato ad un coinvolgimento solo superficiale nei confronti dell’attività dello psicologo, con conseguente interruzione della circolarità nella comunicazione con gli operatori e fenomeni di “boicottaggio” altrimenti inspiegabili.
Se da un lato, quindi, anche per questi motivi, ci è stata data grande libertà di azione, dall’altro, tale esperienza si è in parte realizzata con il proposito di recuperare la circolarità persa.

Il gruppo di Esperti

Sono state individuate 4 coppie di “esperti”, tutte con figli, che sono state informate di questa iniziativa attraverso un colloquio di coppia preliminare, è stata poi lasciata loro la libertà di scegliere se partecipare o meno. L’adesione è stata unanime.
Il gruppo coinvolto era composto dalle coppie che in quel periodo si trovavano nell’ultima fase del percorso comunitario, fase caratterizzata dalla preparazione all’uscita dalla comunità; il principale criterio utilizzato, quindi, è stato quello del tempo, almeno un anno di permanenza nella struttura, unitamente a quello dell’inizio del cosiddetto “reinserimento”, che vede gli utenti attivarsi alla ricerca di una casa e di un lavoro in autonomia.

Il presupposto è stato l’idea che le coppie che si trovano a questo punto del percorso, abbiano avuto la possibilità di riflettere sulla propria storia familiare, sui legami che si sono creati e/o distrutti negli anni della tossicodipendenza e sulla famiglia attuale; fermarsi a “fissare” il presente e ad immaginare la famiglia futura, quella cioè che, nel loro immaginario, si sarebbe riorganizzata all’uscita della comunità, poteva rappresentare un’occasione per differenziare i tempi, recuperare il significato di un processo che si è articolato nel tempo, creare un nuovo orizzonte temporale in cui poter individuare più esiti oltre che “allenare la famiglia a pensare a se stessa in termini relazionali e sistemici”, come sottolinea Andolfi (introduzione a Bowen, 1979) .

La combinazione di due strumenti, genogramma e sculture familiari (che non tratterò in questa sede), aveva lo scopo di focalizzarsi nella prima parte sul tempo presente e, nella seconda, sul confronto tra passato e futuro.

 

Come Dove Quando

Quelle che ho definito “conversazioni fra esperti” si sono svolte per quattro volte, per la durata di due ore ciascuna all’interno della comunità, a cadenza settimanale, cercando di inserirsi tra le scadenze della struttura, la disponibilità degli operatori a prendersi cura dei figli dei partecipanti, gli appuntamenti sanitari e di lavoro. Si è ritenuto che un’ora da dedicare ad ogni coppia fosse un tempo sufficiente.
I primi due incontri hanno avuto come oggetto il genogramma e si sono configurati come esperienza circoscritta – e più gradita - rispetto ai successivi due in cui si sono utilizzate le sculture familiari. Oltre alle quattro coppie partecipanti, erano presenti due terapeuti con la funzione di proporre lo strumento e le regole generali dell’incontro, di facilitare la comunicazione e la partecipazione nell’ottica del modello sistemico - relazionale.
La consegna iniziale chiedeva i singoli membri di una coppia volontaria di rappresentare su un cartellone il genogramma della propria famiglia attuale, in cui potevano inserire chi desideravano e chi sentivano più vicino, anche se non vi era un vero e proprio legame di parentela; i due membri della coppia si sono alternati nella rappresentazione, a cui è seguita una discussione di gruppo.
Tutti, a turno, hanno raffigurato il proprio genogramma con stile e modalità proprie.

Cosa è successo

Le coppie partecipanti potevano inoltre scegliere se conservare o meno il materiale prodotto e se mostrarlo successivamente agli altri ospiti od operatori.
Affidare il genogramma al diretto protagonista della storia familiare senza dare precise indicazioni relativamente ai simboli standard universalmente riconosciuti, ha significato, per i partecipanti, avere grande libertà di rappresentazione e, per i terapeuti, accettare di lavorare con l’insolito e l’imprevisto, lavorare cioè, con l’unicità delle persone e delle loro relazioni.
Il “disegno” è diventato il punto di partenza fondamentale per sondare le relazioni familiari e la loro rappresentazione; le domande hanno poi cercato di sottolineare i cambiamenti avvenuti nel tempo, somiglianze, affinità e desideri.

 

I Simboli . Nello specifico, la scelta di utilizzare la forma grafica quale canale comunicativo all’interno di una comunità e con un determinato gruppo di persone, è stata vissuta come una novità che andava ad interrompere la routine quotidiana e, in quanto tale, conteneva di per sé un certo potenziale stimolante, oltre che rappresentare una modalità espressiva molto più immediata della parola intesa anche come “veicolo di emozioni” per persone che di frequente, da questo punto di vista, faticano ad esprimersi verbalmente. In questo senso, le relazioni familiari, che sono state un importante oggetto di riflessione nel percorso terapeutico, sono state descritte attraverso una simbologia significativa oltre che fantasiosa.
Linee di congiunzione o tratteggi, sbarramenti o involucri, insiemi e intersezioni, incolonnamenti o distribuzione su tutto il foglio, stampatello minuscolo e maiuscolo, hanno colpito immediatamente l’immaginazione dei partecipanti e provocato domande e commenti.

 

Le Domande. La tecnica utilizzata dai terapeuti nella formulazione delle domande è stata in sintonia con il modello sistemico relazionale: fra le altre, domande sul futuro e domande riferite alla rappresentazione del nuovo nucleo familiare dei vari congiunti presentificando gli assenti; l’intento è stato quello di risvegliare collegamenti e connessioni attraverso l’individuazione di somiglianze e differenze fra i genogrammi dei due membri della coppia rappresentati affiancati e all’interno di uno stesso genogramma, per poi scostarsi dal disegno in sé, ed attivare un processo di riflessione sulle differenti concezioni di famiglia, di come vorrebbero che fosse la propria una volta usciti e come vorrebbero riscrivere il finale della loro storia anche confrontandolo con le storie relazionali di altre coppie conosciute.
Come terapeuti sistemici e facilitatori della comunicazione, ci siamo inseriti in queste discussioni alla pari dei membri del gruppo, proponendo la nostra idea e suggerendo – inevitabilmente – una lente di osservazione nell’ottica di un deuteroapprendimento, così che, nei momenti successivi, il gruppo si è riorganizzato e attivato in modo quasi autonomo.
Nel corso degli incontri si sono delineati / intersecati, in linea di massima, due livelli principali: l’esperienza di gruppo e l’esperienza di coppia.

Il Gruppo

I partecipanti si conoscevano da almeno un anno, erano pertanto un gruppo di persone piuttosto affiatato, con legami di amicizia, che ha condiviso non solo il percorso terapeutico e le vicissitudini della comunità, ma anche esperienze emotive intense come crisi di coppia o la gravidanza e la nascita di un figlio. Inoltre, al momento delle “conversazioni” erano ulteriormente accomunati dall’impegno, chi più chi meno, verso la pianificazione della vita al di fuori della comunità. Condividere anche questo tipo di esperienza ha quindi, da un lato, fatto loro sperimentare una nuova modalità di stare in gruppo e di affrontare, insieme, temi familiari comuni, ma, dall’altro, utilizzare la conoscenza reciproca e l’intimità della relazione come risorsa per suggerire riflessioni, critiche costruttive e nuove risoluzioni.

 

La Coppia

La rappresentazione, su di un solo grande foglio, del genogramma della stessa famiglia, ma realizzata da due persone diverse, i due membri della medesima coppia, ha offerto notevoli spunti di connessione. Innanzitutto ciascuna delle due parti ha avuto modo di osservare come l’altro/a concepiva e viveva i vari soggetti della famiglia; presenze, assenze, nomi o titoli parentali, vicinanze e lontananze, collegamenti ecc. hanno alimentato discussioni e confronti all’interno della coppia relativi, ad esempio, al coinvolgimento o meno delle famiglie di origine e, soprattutto, del vissuto di genitori. Alcuni sono rimasti sorpresi nel vedere il modo in cui l’uno considerava i membri della famiglia dell’altro che, in qualche caso, sono inaspettatamente diventati nel tempo figure di riferimento se non genitori adottivi... Un ulteriore aspetto che toccato, è stato riflettere sul ruolo genitoriale, cercando somiglianze con altre figure presenti nel genogramma e sollecitando ipotesi e desideri futuri (es. di chi vorresti che tuo figlio avesse le qualità? A chi vorresti che assomigliasse?)

Il Gruppo e la Coppia.

L’affiatamento del gruppo ha alimentato discussioni vivaci a partire da un buon grado di curiosità. In particolare, la coppia stessa si è aperta nei confronti degli “osservatori” dimostrando di accettare commenti che andavano di volta in volta a sottolineare le somiglianze e le differenze nel disegno, oppure come l’aspetto grafico rispecchiasse il carattere dell’autore ma, soprattutto, il gruppo proponeva domande che chiedevano spiegazioni riguardo, ad esempio,  all’uso di un determinato simbolo, dando il via a diverse ed originali letture; una colonna di nomi, allora, poteva essere vista come rappresentazione di una gerarchia, di una graduatoria in base all’anzianità o la raffigurazione di come qualcuno poteva essere un solido sostegno per qualcun’altro...

 

Riflessioni Conclusive

Le potenzialità e, ovviamente, anche i limiti che si sono evidenziati nel corso dell’esperienza, sono da ricondurre non tanto allo strumento in sé, quanto all’uso che ne è stato fatto; in questo senso, l’utilizzo del genogramma così come è stato qui presentato, ha rappresentato un progetto sperimentale nato sull’onda della richiesta, da parte della comunità, di usufruire in modo proficuo delle ore a disposizione dello psicologo consulente in modo nuovo ed utile per i partecipanti.
L’elemento della novità ha portato alla costruzione di un’esperienza con un certo margine di flessibilità e la possibilità di aggiustamenti in corso d’opera; se ciò, da un lato, ha favorito la spontaneità dell’espressione, dall’altro ha creato, in alcuni casi, digressioni dal tema principale e la conseguente necessità di confronto da parte dei due terapeuti.

La co–conduzione, tuttavia, si è dimostrata una risorsa quando la metacomunicazione sulla divergenza di opinione dei terapeuti è divenuta il pretesto per esplicitare le diverse posizioni anche da parte del gruppo; in quest’ottica, il fatto stesso che i terapeuti fossero di sesso diverso, è stato un ulteriore elemento che ha dato luogo ad ipotesi correlate al gender dato che, non solo uomini e donne spesso reagiscono in modo differente ad uno stesso stimolo, ma, a volte, l’ipotesi proposta dalla terapeuta donna poteva andare ad alimentare schieramenti nel gruppo e viceversa.
In generale inoltre, il fatto che tutti, a turno, abbiano svolto il compito – ma che due coppie l’abbiano fatto a distanza di una settimana dalle altre due -  porta a riflettere sulla possibilità che nel secondo incontro andasse persa parte dell’istintività dell’esecuzione a favore di un influenzamento reciproco; tuttavia, ritengo che tale dato possa essere significativo nel caso in cui le coppie si sono raccontate in successione nello stesso incontro, e non tanto a distanza di una settimana, poiché è necessario tenere in considerazione che utenti ed operatori attribuiscono comunemente a queste attività un’importanza limitata, soprattutto a confronto dell’investimento pratico ed emotivo sulla prossima uscita dalla comunità (fermo restando il feedback di un vissuto positivo dell’evento).

Infine, il fatto che il gruppo si conoscesse e fosse molto affiatato, è stato, a mio avviso, sia una risorsa che un limite: è una risorsa, in quanto ha favorito la disinvoltura nell’espressione della propria opinione e l’apertura nell’accettazione di commenti non sempre positivi, ma anche un limite nel momento in cui le osservazioni erano motivate da una conoscenza personale che sbilanciava i partecipanti verso la ricerca di consenso e conferma, più che verso una differenziazione dei punti di vista.