Massimo Schinco vive nei pressi di Cuneo, è uno psicoterapeuta, è un musicista (suona il violino nell’Orchestra Sinfonica Amatoriale Italiana) ed è docente nella Scuola di Specializzazione del Centro Milanese di Terapia Sistemica. Da parecchio tempo cerco di invitarlo sul mio blog per una conversazione nello stile di quelle che facciamo via e-mail o – quando l’occasione lo permette – davanti a un succo di mirtillo. Passa spesso da queste parti e qualche volta ne avete ammirato la finezza dell’argomentare nei suoi commenti ai post, ma speravo di convincerlo, prima o poi, a raccontarci qualcosa sugli autori che studia da tempo nella sua personale ricerca: durante la quale esplora nuove metafore per la terapia sistemica e riconsidera criticamente il suo amore originario per Bateson e Maturana per cercare riferimenti in autori più vicini al suo percorso umano e scientifico. Si è lasciato convincere in virtù del fatto che oggi, 18 ottobre 2009, ricorre il 150esimo compleanno di uno dei suoi autori preferiti, Henri Bergson

M.G.: Allora, Massimo, chi era Henri Bergson?

M.S.: Henri Bergson era un professore francese di famiglia ebrea, nato nel 1859 e morto nel 1941, un uomo di per sé poco appariscente, che viveva in una villetta insieme alla sua famiglia (sua moglie era cugina di Marcel Proust). Bergson passò la sua vita studiando, insegnando e scrivendo. Le sue opere, all’epoca – siamo nella prima metà del XX secolo – fecero scalpore. Fu nominato accademico di Francia, fu insignito della Grand’Croix de la Légion d’Honneur e poi vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1927. Un fatto singolare per uno che era matematico e filosofo; peraltro conosceva bene le questioni aperte della fisica contemporanea (la teoria della relatività e la meccanica dei quanti), così come la biologia in prospettiva evoluzionista. Era un anticipatore del pensiero cibernetico. Si avvicinò al cattolicesimo (anche se la Chiesa mise le sue opere nell’indice dei libri proibiti) ma decise di non aderirvi ufficialmente per solidarietà con gli ebrei perseguitati. Per lo stesso motivo decise di non approfittare della sua celebrità e di rimanere nella Parigi occupata dai nazisti. Ecco, era un uomo più grande di qualsiasi descrizione rigida, di qualsiasi etichetta. Gli scienziati non potevano accettarlo tra loro per i fondamenti metafisici del suo pensiero (nel 1913 fu perfino nominato Presidente della Society for Psychical Research). I filosofi dell’epoca – inclini al pessimismo e alla crisi del significato – dovendosi confrontare con un pensiero luminoso e pieno di vitalità lo attaccavano. Era ebreo ma volle che la sua preghiera funebre fosse recitata da un prete cattolico, senza farsi troppo impressionare  dalla questione dell’indice dei libri proibiti. Gli spiritualisti lo trovavano troppo meccanicista. I meccanicisti troppo metafisico. I cattolici gli davano del panteista… e lui non ci stava. Questo suo modo di essere era l’incarnazione del suo stile di pensiero, per cui la realtà, sempre in crescita, in movimento, sempre nuova e impredicibile, è più grande di qualsiasi descrizione che possiamo darne. Eppure le descrizioni sono importanti, e devono essere ben fatte, perché permettono di differenziare e complessificare il flusso indiviso e perennemente in crescita del reale. Ogni nuovo stadio evolutivo si posa su descrizioni precedenti. Le descrizioni, ciò che potremmo chiamare l’aspetto più statico (o “attualizzato”) del reale, sono il gradino su cui il piede del vivente poggia per salire più su.


1927- Henri Bergson (1859-1941) sign

Inserito originariamente da joankim1

Bergson quindi valorizza la materia senza essere un materialista. Per lui le forme materiali sono come la traccia nella sabbia, quando vi passi la mano attraverso lasciando solchi e figure. E la mano è la vita, intelligente e cosciente, che costantemente deve confrontarsi con le ricadute materiali del suo slancio incessante. Bergson ci presenta un mondo vivente e animato a crescenti livelli di complessità, e decenni prima che Castaneda venda milioni di copie dei suoi libri – un po’ tenebrosi, direi – descrive l’essere umano come un percettore che si muove in un mondo di immagini (e sono sicuro che, a differenza di Castaneda, in quanto a funghi Bergson si sia limitato a boleti e famigliole). Dal punto di vista della conoscenza, in questo insieme indiviso l’intelligenza, ovvero il pensiero “disgiuntivo”, “ritaglia” elementi separati con finalità squisitamente pragmatiche, ma è l’intuizione la chiave di accesso al reale. Quindi le teorie scientifiche sono valorizzate, soprattutto sul piano dell’utile, ma è quell’intuizione largamente mortificata nelle tradizioni di  pensiero occidentale che ci mette in contatto con la realtà. Come puoi vedere, per usare una terminologia che senza dubbio ti è cara, Bergson è un Autore alquanto ipertestuale. E per usare una terminologia che è cara a me, è il sostenitore di un mondo ordinato ma non ingenuamente finalistico. Il suo concetto di ordine è, almeno per come lo vedo io, analogo a quello che anni dopo svilupperà David Bohm nei suoi lavori sull’ordine implicito e sugli ordini generativi. A entrambi questi Autori preme molto discutere l’idea del tempo, e anche qui, benché con tagli e accentuazioni differenti, arrivano a conclusioni largamente sovrapponibili: ovvero essi mettono in luce, sia su un piano ontologico che esperienziale, la fondamentale realtà della durata, contrapposta al tempo spazializzato e suddiviso degli orologi. Però Bergson è più fiducioso nell’idea di tempo (“il tempo è efficace”, scrive nelle sue opere). Bohm si pone viceversa in una prospettiva che esalta gli aspetti illusori del tempo e dell’evoluzione. Entrambi però, ci portano in una dimensione metatemporale e anche metanarrativa, ci invitano a confidare nel nuovo che costantemente bussa alla porta, e ci indicano l’urgente necessità di imparare a percepirlo, riceverlo e integrarlo nella nostra esperienza liberandoci dalle pastoie delle nostre credenze statiche.

M.G.: Come sei arrivato a lui?

M.S.: Sfiorai per la prima volta il pensiero di Bergson al Liceo. Gli erano dedicate poche righe e poco tempo, però questa sua immagine dello “slancio vitale”, del fuoco pirotecnico della vita mi affascinava e risuonava positivamente con la mia sensibilità religiosa, probabilmente per una assonanza di radici comuni (io sono cattolico ma il pensiero ebraico mi ha influenzato profondamente). Comunque rimase lì.


Francesco Mina:
“La madre nei sogni del bambino”,
curato da Massimo Schinco

Mi sono accorto solo a posteriori che la sensibilità bergsoniana influenzava una persona che ha avuto grandi effetti sulla mia vita, cioè il mio terapeuta Francesco Mina. Ecco, leggendo Bergson tanti anni dopo per certi aspetti mi è sembrato di ritrovarmi con lui. Comunque, verso la metà degli anni 90 io mi sentivo un po’ scisso da un punto di vista teorico e metateorico. Avevo iniziato l’attività didattica al Centro Milanese di Terapia Familiare e ci tenevo che gli allievi capissero bene la lezione batesoniana. Ero rimasto letteralmente affascinato dal costruttivismo radicale, in particolare nella versione di Maturana e Varela (Luigi Boscolo mi prendeva in giro… diceva che guardavo Maturana come un innamorato guarda la sua bella). Però mancava qualcosa. Nella visione di questi Autori la dimensione del significato e lo splendore del reale tendevano ad offuscarsi, c’era una chiusura (soprattutto in Maturana) che andava oltre la questione della “chiusura organizzativa” dei sistemi viventi. Ecco, questi Autori sono carenti sul piano metafisico, e la dimensione metafisica per me non è accantonabile quando si parla di persone umane. Naturalmente, tenendone conto, come psicoterapeuti ci complichiamo anche la vita, andiamo su un terreno delicato, scivoloso; però dobbiamo andarci, se non altro per rispetto dei nostri pazienti. Il libro “O divina bellezza… o meraviglia” riflette questo travaglio, questa insoddisfazione e il tentativo di uscirne. Mentre scrivevo “O divina…” leggevo Jean Guitton, un Autore che non manca mai l’occasione di dichiarare il suo debito e la sua ammirazione verso Bergson. Comunque, il mio libro attirò l’attenzione di Clara Capello, allora Professore Ordinario a Torino, che da anni lavorava in modo straordinariamente approfondito sul tema della narrazione autobiografica e poetica con una sensibilità alla dimensione “meta” e “oltre” molto simile alla mia, ma più matura e rigorosa. Iniziarono ore di confronto e di lavoro comune che mi stimolarono a procedere più coraggiosamente alla ricerca di autori che potessero aiutarmi su questa strada. Fu così che “strinsi amicizia” con Autori come Gabriel Marcel e Viktor Frankl, mentre altri, come Jean Guitton appunto, erano già vecchi amici. Mi affacciai anche al pensiero di teologi come Von Balthasar e Teilhard De Chardin, che spero di poter studiare più approfonditamente… magari in una prossima vita!

M.G.: Ecco, su Teilhard ci dovremo proprio tornare… sai che è un autore che attrae i blogger, che vedono in lui una specie di profeta della rete…? Ma tornando a noi, che peso hanno avuto i tuoi interessi per la musica e per il sogno?

M.S.: La ripresa degli studi musicali (la sensibilità musicale è una splendida metafora dell’intuizione di cui parla Bergson) e dell’interesse verso il sogno e gli stati straordinari di coscienza hanno avuto indubbiamente un grande peso. La pratica musicale ha cambiato il mio modo di fare il terapeuta e il didatta.

Per quanto riguarda i sogni, è iniziato un fitto dialogo con colleghi di tutto il mondo attraverso la International Association for the Study of Dreams, e per me è stato nuovamente come respirare un’aria più nuova e più libera rispetto alle sabbie mobili del meccanicismo riduzionista e materialista da cui siamo profondamente afflitti qui in Europa. Adesso non ricordo esattamente come è andata quando sono andato a cercarmi i primi volumi di Bergson in biblioteca… però è stato un colpo di fulmine. Bergson rispondeva alle domande che mi facevo quando ero bambino (e che mi tenevo per me perché avevo scoperto che scocciavano quasi tutti) sulla natura del rapporto tra le descrizioni del mondo (in particolare matematiche, fisiche e religiose) e il mondo reale, così come su molte altre cose. Naturalmente il linguaggio di un bambino non è quello di Bergson, però tutti i bambini si pongono domande profonde; peccato che raramente li si stia a sentire.


Bergson – Materia e memoria

Inserito originariamente da suzughia

…Come in tutte le cose, in questo nuovo grande amore c’era anche un aspetto comico: credo che non molti ad agosto sulla spiaggia leggessero “Materia e memoria” e “Pensiero e movimento”… insomma è andata così.

M.G.: Perché, secondo te, un terapeuta dovrebbe avvicinarsi al suo pensiero? Cosa può dire Bergson agli psicoterapeuti

M.S.: Ti ricordi quando qualche mese fa ci siamo trovati a Milano per la seconda edizione di “Frontiere del Milan Approach”? Presentai una slide con due citazioni di Bergson. Eccole qui.

“diciamo che la totalità del reale potrebbe senz’altro essere una continuità indivisibile; ma allora i sistemi che in essa ritagliamo non sarebbero affatto, a rigore, delle parti, bensì dei punti di vista parziali sul tutto”

“un segmento piccolissimo di una curva è quasi una retta. E quanto più sarà piccolo, tanto più somiglierà a una retta (…) e infatti, in ognuno dei suoi punti la curva si confonde con la propria tangente (…) ma in definitiva questi punti non sono altro che le prospettive di una mente che immagina, in questo o quel determinato momento, una stasi del movimento che genera la curva”

Bene. Riesci a trovare qualcun altro che risolva così elegantemente il rapporto tra linearità e circolarità? Tra totalità e alterità? Uno più sistemico di così? Ti ricordi che Pietro Barbetta (che è molto sensibile al pensiero francese… benché noi due abbiamo un taglio diverso) commentò: “ma questo è proprio lo spazio in cui si situa la psicoterapia!”. Infatti. La vita e le sue descrizioni. La vita, che come Bergson ci ricorda “è insinuante…” e tondeggiante, mentre i formalismi del pensiero tendono a rettificare e produrre angoli. E poi ci sono altre straordinarie analogie: il rapporto tra intuizione e intelligenza in Bergson è assolutamente isomorfo al rapporto tra intuizione clinica e teoria nel nostro campo. Le nostre teorie devono essere ben fatte (e non sempre succede…), ma i nostri pazienti, così come le nostre relazioni con loro, sono sempre molto più grandi delle nostre teorie. E poi la conciliazione tra pragmatismo (il nostro pensiero deve condurre all’azione) e poesia… (che tra l’altro è anche la quintessenza della pratica musicale). Bergson può aiutare gli psicoterapeuti a valorizzare nuovamente la verità senza cadere nella rigidità e nei conflitti distruttivi. Valorizza la questione epistemologica senza sacrificare l’ontologia, che poi nel nostro caso è l’irriducibile verità del paziente come altro da me e fratello insieme. Bergson dovrebbe essere letto oggi, e le sue lezioni messe in pratica, anche fuori dagli studi di psicoterapia. E’ uno che ci aiuta ricostruire ciò che oggi manca, ciò che Marcel chiamava “il tessuto infraumano”. La nostra società è troppo divisa anche perché ancorata al passato, a ideologie ormai lontane dal reale scorrere e rinnovarsi della vita. Certo, la lettura di Bergson talvolta è scorrevole, anzi è mozzafiato, ma talaltra è difficile, soprattutto richiede tempo e pazienza: il suo pensiero rovescia le nostre abituali e tacite premesse cartesiane e newtoniane. Però ne vale la pena. Ti ringrazio di avermi dato questa occasione di ricordarlo, oggi che ricorre il 150° anniversario della sua nascita, in un generalizzato silenzio che mi addolora e che invece, nel nostro piccolo, abbiamo interrotto. E questo mi da grande gioia. E grazie anche a tutti coloro che avranno avuto la pazienza di leggere questa intervista.

M.G.: Grazie a te! Per finire, ci dai qualche titolo cui partire per conoscere l’opera di Bergson

M.S.: Conviene iniziare dai suoi saggi più brevi, che si trovano raccolti in volumi che non è difficile reperire, come Pensiero e Movimento e L’Energia Spirituale. L’evoluzione Creatrice è ponderoso ma scorrevole. Materia e Memoria è sicuramente impegnativo. Non debbono essere dimenticati Le due Fonti della Morale e della Religione e L’Umorismo. In rete si trovano diversi siti dedicati a Bergson e alla sua opera che possono senz’altro soccorrere nei momenti di difficoltà o quando si desidera un poco fare “il punto” della situazione.

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