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Perché uno psicologo scrive?

Nella psicoterapia il momento dell’agire è sempre in relazione con il momento dell’autoriflessività: ponendosi delle domande su quel che sta accadendo, il clinico è orientato nelle proprie azioni; queste, a loro volta, generano nuove domande.
Il terapeuta, nel misurarsi con i sistemi umani, in bilico fra il nuovo e il noto che incontra nel dialogo con le persone, è, in qualche misura, anche un ricercatore.
“Cosa sta accadendo?”, “In che modo somiglia a quello che conosco e che c’è nelle mie teorie?”, “In che modo se ne distacca?”: così nel lavoro coi colleghi, nel riflettere su quanto accade nella pratica (è un vecchio pregiudizio quello che vuole che il pensare preceda il fare: sappiamo invece che si trovano in relazione reciproca), nascono nuove idee e nuovi punti di partenza per il proprio lavoro. Quando va bene, anche per quello di altri.
Per queste ragioni nel mio mestiere il momento della scrittura e della condivisione con altri (colleghi e non) dei pensieri che emergono dal lavoro, è una necessità di crescita ed evoluzione.
Di recente ho aggiunto una seconda sezione nella quale sto raccogliendo cose pubblicate negli anni passati in un altro ambito, quello musicale: lì spiego anche in che modo le due cose c’entrano l’una con l’altra.

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