Magda Guia Cervesato
Magda Guia Cervesato

Se trattare il dolore dell’anima come una malattia ha dei precisi effetti che è grave trascurare, l’ulteriore slittamento nel dominio della colpa ha conseguenze tragiche. Già l’affidamento della sofferenza alla medicina porta (oggi possiamo dire: erroneamente, anche nel caso della medicina del corpo) l’idea che chi soffre debba rinunciare ad essere competente fino in fondo sulle cose che lo riguardano; e infatti, chi pretenderebbe di affondare il bisturi nelle proprie stesse viscere, al posto del chirurgo, mentre giace sul letto operatorio? Chi, oltre al medico, conosce veramente quella materia sanguinolenta che sta stipata sotto la pelle? Ma dove la medicalizzazione nega alla persona la capacità di scegliere, la criminalizzazione (perché con l’equivoco della cura siamo riusciti a dotarci di carceri dove si sta da innocenti) le sottrae addirittura il diritto di farlo.
Si legge in un paio d’ore questo libro di Magda Guia Cervesato pubblicato l’anno scorso da Sensibili alle Foglie. È la vicenda narrata in prima persona, e al presente, di un’esperienza reale in reparto psichiatrico, la conseguenza paradossale di una richiesta di aiuto gridata in uno di quei momenti in cui qualcosa nella vita fa tornare a sanguinare ferite antiche.
Quando l’ho chiuso ho pensato che è un libro forte di alcune scelte che ne fanno una denuncia terribilmente lucida. Per cominciare, è quanto di più distante dalle rivendicazioni da Costanzo Show: non c’è ombra di vittimismo né di indignazione a buon prezzo. È invece la storia di un percorso in cui la protagonista, nei giorni in cui cerca di orientarsi in quell’incubo, ripercorre la catena delle proprie fragilità e dei richiami inascoltati, identificando con lucida e dolorosa consapevolezza i propri punti di rottura che avrebbero meritato ben altra cura.
E fra le vicende quotidiane – alcune mostruose, altre tenere persino – che il libro racconta di quei giorni tso(che non esauriscono la vicenda paradossale della protagonista, costretta a portarsi le proprie catene anche fuori da quella prigione), c’è qualcosa in questo libro che mi ha colpito proprio perché più sommesso. Ci sono due momenti (non dico di più per chi non avesse ancora letto) in cui accade qualcosa di risolutivo, e che pure l’autrice risolve senza molte parole, lasciandoli quasi scivolare via. Dapprima mi sono domandato come mai Magda non abbia scelto di raccontarli con un’enfasi da “arrivano i nostri”, di celebrarli come la vittoria dell’eroina buona e debole contro il mostro, di dar loro quel passo che avrebbe fatto alzare in piedi i lettori e che magari le avrebbe persino, chissà?, aperto spazio in ben altri scaffali nelle librerie.
Invece quei passaggi non sono frutto di grandi gesti eroici o di capovolgimenti spettacolari, ma di piccole progressioni nella consapevolezza. Sono due momenti in cui la donna alza la testa e decide di farsi cosciente dei propri diritti (conoscere bene i propri diritti è una questione che attraversa tutta la storia: sapere è una questione di responsabilità) e parla: semplicemente, esige quel che le spetta.
Ecco, TSO avrebbe potuto essere il resoconto toccante e vero di una discesa agli inferi, e già sarebbe bastato per essere grati all’autrice. Invece è un libro che ci interroga anziché consolarci con un lieto fine: e questo perché l’autrice sceglie di non cadere nella fallacia dei suoi psichiatri. Quella di pensare che il cattivo è lì fuori. Per i dottori l’errore comporta aggredire quello che insistono a pensare sia il male, ciechi al fatto di esserne attivamente parte; per lei sarebbe stato accettare il ruolo (anche narrativamente vantaggioso) della vittima inconsapevole: invece sceglie di raccontare la storia di una assunzione di responsabilità, dove essere responsabili vuol dire conoscere i propri diritti, avere abbastanza conzapevolezza da non concedere spazio a quella follia che pretenderebbe di essere cura.
Scelta felice quella di connotare la protagonista sin dall’inizio come madre: farci conoscere i tre figli dai quali è stata separata dalla violenza del sistema di cura proietta la sua battaglia su uno scenario in cui non si vince solo per sé e per la propria salvezza individuale.
Martedì 14 maggio alle 18 conoscerò più da vicino Magda Guia Cervesato e Valter Binaghi (con tutt’e due da parecchio converso in rete ma non ci siamo mai incontrati là fuori): farò gli onori di casa per un evento in cui entrambi parleranno di questo libro e lo racconteranno a chi sarà presente e a chi seguirà la serata in diretta streaming.
Saremo al Centro Milanese di Terapia della Famiglia e la diretta potrà essere seguita qui.

massimo giulianiLibriMagda Guia Cervesato,psichiatria,TSOSe trattare il dolore dell'anima come una malattia ha dei precisi effetti che è grave trascurare, l'ulteriore slittamento nel dominio della colpa ha conseguenze tragiche. Già l'affidamento della sofferenza alla medicina porta (oggi possiamo dire: erroneamente, anche nel caso della medicina del corpo) l'idea che chi soffre debba rinunciare...Psicologia, metafore, cultura (Il blog di Massimo Giuliani, psicoterapeuta a Brescia e Milano)