In anteprima sul blog la recensione che ho scritto per il numero in uscita di Connessioni del libro di Luca Casadio “Tra Bateson e Bion. Alle radici del pensiero relazionale” (Antigone Edizioni).
La rivista uscirà nei prossimi giorni, ma la recensione l’ho scritta mesi fa dopo aver letto il manoscritto. Io e Luca eravamo poco più che colleghi di “scuderia”
(l’Editrice Antigone di Torino), non avevamo ancora bevuto una birra insieme ed eravamo soltanto all’inizio della nostra corrispondenza: tutto quello che è scritto qui, pertanto, è autentico e disinteressato. Luca ha scritto un libro che ha molti meriti.

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Capita periodicamente di leggere libri e saggi che hanno l’ambizione di trovare punti di contatto tra la psicoanalisi e il pensiero sistemico.
Il più delle volte l’esito è deludente: una specie di riduzione a un minimo comune denominatore, ancora più scontata se si squalifica l’uno e l’altro dei termini del confronto a un banale insieme di pratiche: è abbastanza evidente che, passata attraverso il tritatutto della semplificazione, qualunque cosa può assomigliare a qualunque altra. William Shakespeare e Federico Moccia scrivono di sentimenti, John Nash e Giulio Tremonti se la cavano con le moltiplicazioni, la sistemica e la psicoanalisi tentano, in fin dei conti, di dare un senso alla sofferenza psicologica. D’altra parte, la prima si occupa di relazioni e la seconda ormai da un bel pezzo non ne nega l’esistenza: il resto son complicazioni inutili.
Talvolta il senso neanche tanto nascosto di tali operazioni è quello di affermare l’autosufficiente superiorità di un modello e la futile ridondanza dell’altro, attraverso la minimizzazione delle differenze e la rinuncia a qualsivoglia preoccupazione epistemologica. Come, per dirne una, il fatto che la prospettiva da cui si sceglie di guardare condiziona in maniera decisiva quel che si vede: se il vertice di osservazione è l’intrapsichico, la teoria riguarderà il soggetto singolo, senza escludere la sua dotazione biologica; se invece è la relazione, metterò al centro la cultura, la famiglia, la storia: tutto quello che nel primo caso era origine e punto di partenza, qui sarà prodotto, epifenomeno, conseguenza. E viceversa.

Luca Casadio, che queste cose le mastica, non cade nel tranello e anzi chiarisce subito che un confronto fra due autori così diversi come Gregory Bateson e Wilfred Bion sarà utile (sarà possibile, aggiungo io) se sapremo “collegare il concetto di mente alle relazioni e ai diversi contesti intersoggettivi” e considerare l’identità come un prodotto di un sistema complesso, dinamico e in evoluzione. E, per non farsi illusioni, ci fa capire che un confronto così impostato non solo è più avaro di risposte definitive, ma anzi ci lascia soprattutto domande e questioni aperte. Sulla mente e i suoi confini, ad esempio; sul modo in cui essa entra in relazione con altre menti; sulla natura del cambiamento; e infine – da far tremare i polsi! – su cosa voglia dire “osservare” tutto questo e su come sia possibile.
Insomma, quel che separa le operazioni banalizzanti di cui sopra dal libro di Luca Casadio è che quest’ultimo va in direzione esattamente opposta: moltiplica i problemi anziché sfrondare e amplia lo sguardo anziché puntare dritto a un presunto, essenziale, nocciolo della questione.
Tant’è vero che non cerca somiglianze fra una psicoanalisi e una sistemica “all’ingrosso”, ma mette a confronto due delle voci più estreme e indocili dell’una e dell’altra scuola. Se la metafora può rendere l’idea: puoi cercare affinità fra due differenti paesi, ma è soprattutto nelle loro città di mare e nei porti – nelle zone esterne ed estreme, voglio dire, quelle che guardano fuori e lontano, quelle dall’identità meticcia e contaminata – che puoi ritrovare un certo modo di guardare al mondo e al prossimo. Sempre che non ti spaventi quella vertigine: altrimenti, per ritrovare dovunque un rassicurante e familiare “già noto”, ci sono sempre i McDonald’s del centro.

Nel porsi davanti all’opera di Gregory Bateson e a quella di Wilfred Bion, Luca Casadio non si accontenta di rintracciare assonanze fra quanto detto dall’antropologo e dallo psicoanalista: fa emergere, invece, un comune modo in cui entrambi affrontano i problemi classici della propria disciplina. Per esempio, attraverso un’ironica pratica del rovesciamento di quei problemi (il Bion che nel chiarire la sua idea sul rapporto fra sogno e inconscio sostiene che non è l’inconscio a produrre il sogno, ma è quest’ultimo, al contrario, a creare l’inconscio e la coscienza, non vi ricorda almeno un po’ il Bateson che, in “Doppio legame, 1969”, denuncia l’“epistemologia all’incontrario” degli psicologi?).
Oppure nel comune modo “laterale” ed estetico (“al cento per cento scientifico e al cento per cento poetico”) di estendere i confini dei propri ragionamenti cercando in campi contigui somiglianze che suggeriscono ulteriori somiglianze: l’abduzione per Bateson, l’“immaginazione speculativa” per Bion.
Anche per Casadio il confronto fra i due personaggi diventa un processo abduttivo ed estetico: dapprima approfondisce la biografia di ciascun personaggio (e vedrete che le coincidenze fra l’una e l’altra sono sorprendenti) attraverso una puntuale selezione delle fonti disponibili, e di lì (chissà se si è ispirato alle “Vite parallele” di Plutarco!) prende a tracciare connessioni e a far emergere somiglianze, con lo scopo non solo di connettere la vita con le opere, ma anche di illustrare la collocazione che ciascuno dei due ha nel pensiero della propria epoca e nella propria disciplina: per entrambi il riconoscimento arrivò soprattutto in età avanzata, dopo anni di marginalità accademica; entrambi – maestri del “pensiero nomade” – vagarono inquieti e curiosi fra discipline differenti; entrambi cercarono nell’arte, nella poesia, nella metafora il complemento necessario al proprio discorso scientifico.

È un procedimento abduttivo ed estetico, dicevo, a guidare la ricerca di Casadio. Che ce lo dice chiaro e lo ripete, se ce ne fosse il bisogno: è l’azione di un osservatore a creare il pattern che connette; è l’interazione fra lui e il contesto, che costruisce ordine e stabilisce collegamenti nel paesaggio complesso che intende conoscere.
Così, a un livello, il suo libro parla di Bateson e Bion; a un altro livello, attraverso il Bateson di Casadio e il Bion di Casadio, è proprio l’autore – l’osservatore che traccia confini, che punteggia eventi e che costruisce analogie e differenze – a proporre un proprio percorso di senso.
C’è molto del suo autore in questo libro: lo stesso Luca Casadio è un po’ erede di quello spirito che rifiuta la pigrizia delle idee che si autoconvalidano. L’abbiamo conosciuto co-curatore, accanto a Umberta Telfener, dell’enciclopedico “Sistemica”; ha scritto su arte, cinema e psicoanalisi in “Le immagini della mente”; sul ridere e sulla conoscenza in “Umorismo”; si è sperimentato come narratore (“Un assurdo studio sull’amore” è uscito quasi contemporaneamente a “Tra Bateson e Bion”).
Tutto ciò non fa di questo libro un esercizio poetico astratto, né lo relega nell’archivio delle tante ipotesi attraenti ma con implicazioni poco più che accademiche. La sensibilità attuale, le questioni che essa pone alla psicologia di oggi, rendono quanto mai rilevante ogni domanda che possa fare da guida per affrontare la sfida di descrivere la mente come un sistema transpersonale; di dar conto di un sé molteplice anziché semplice e unidimensionale; di immaginare una relazione terapeutica quale processo di influenzamento reciproco anziché applicazione unidirezionale della competenza di un esperto; di usare le nostre idee per pensare anziché per trovare conferma alle nostre premesse; di stabilire e arricchire il dialogo, infine, fra idee ed esperienze differenti e contigue.

Il percorso che Casadio punteggia fra i pensieri di questi due giganti mi pare una mappa per una psicologia che non tema tutte queste sfide e che anzi le accetti come l’unica possibilità che ha di restare viva e di dire qualcosa di utile sull’uomo postmoderno.
Eppure tutto questo non basta, per un libro che – si è capito – ha l’ambizione di bussare alla porta della poesia e della metafora tanto quanto abita il territorio della trattazione scientifica. E infatti non è tutto: “Tra Bateson e Bion” è anche bello da leggere.
La prefazione (“Brainstorming e stream of consciousness”) è di Pietro Barbetta.

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